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La mia RiEvoluzione - Parte 5
Il pericolo che minaccia oggi il popolo italiano
non è nella impossibilità di rovesciare il governo tirannico attuale e di
rimpiazzarlo con un altro democratico o socialista, ma brutale; il pericolo è
nel fatto che la lotta al governo farà nascere delle nuove violenze. Il popolo
italiano che è chiamato, per la sua situazione particolare, a mostrare la via
pacifica e sicura che conduce alla liberazione, sarà condotto da uomini che,
non comprendendo interamente la portata della rivoluzione che si deve compiere,
imiteranno il modello delle rivoluzioni passate e, invece di seguire la strada
giusta che si apre davanti a lui, si impegneranno su una strada sbagliata, che
hanno già preso malauguratamente gli altri popoli. Questo è il vero pericolo. Per
evitarlo gli italiani devono restare se stessi, non occupandosi delle cose che
si svolgono negli altri paesi costituzionali dell’Europa e dell’America, ma
prendendo consiglio esclusivamente dalla loro coscienza. Essi, per compiere la
grande opera rivoluzionaria, non devono preoccuparsi dell’organizzazione
politica dell’Italia, né reclamare la garanzia della libertà civica; essi
devono cercare soprattutto di difendersi dall’idea che afferma la necessità
dell’esistenza dello stato Italia, e di conseguenza occuparsi di meno dei loro
diritti di cittadinanza di questo stato. A questo fine, gli italiani devono
astenersi oggi da qualsiasi azione, sia da quelle che il governo vorrebbe far
compiere, sia da quelle che i rivoluzionari e i liberali vorrebbero imporre
alla popolazione. Il popolo italiano non deve obbedire a questo governo che gli
ordina di partecipare alla violenza; e quindi deve rifiutare la dittatura
sanitaria così come deve rifiutare le tasse, il servizio nella polizia,
nell’amministrazione, nelle dogane, nell’esercito, nella flotta e in tutte
quelle istituzioni che si basano sulla forza. Solamente la non partecipazione a
qualsiasi atto brutale può sopprimere le violenze di cui soffrono gli uomini,
porre termine alla crescita indefinita degli armamenti, delle guerre, e abolire
interamente la proprietà fondiaria.
È tempo di sapere che una rivoluzione non si fa a
comando: “Venite, facciamo la rivoluzione!”. Non si può farla su un modello
stabilito, imitando quello che si faceva cento anni fa in condizioni
completamente diverse. Si deve soprattutto comprendere che essa non migliorerà
le condizioni degli uomini se non nel caso in cui essi, avendo riconosciuto il
rancidume e il pericolo delle antiche basi della vita, cercassero di
organizzarla su un fondamento nuovo che può dare loro la vera felicità, il che
significa quando essi hanno una visione di una nuova vita, e migliore.
L’ideale del nostro tempo non dovrebbe essere solo
la semplice modificazione delle forme di violenza, ma la loro completa
sparizione, che arriverà con l’insubordinazione al potere pubblico.
Quale forma potrà prendere la vita sociale, quando
gli uomini non obbediranno più a un governo e non faranno più parte di uno
stato?
Una volta estinto il governo, la terra diventerà
libera e tutti gli uomini avranno su di essa gli stessi diritti.
Basterebbe astenersi da qualsiasi coinvolgimento
con la violenza, non strappare la pianta naturale per sostituirla con quella
artificiale, ma semplicemente scartare tutto quello che arresta la sua
crescita. La grande rivoluzione non sarà realizzata da uomini stressati,
presuntuosi, ignoranti che, dubitando che la causa del male contro la quale
lottano è la violenza (senza la quale essi non possono vivere),
distruggerebbero ciecamente la tirannia presente per rimpiazzarla con un’altra.
La rivoluzione sarà realizzata da coloro che, senza distruggere né cambiare
alcunché, sopporteranno senza lottare ogni atto di oppressione, a condizione di
non partecipare al governo del paese, di non obbedirgli, e di organizzare la
loro vita fuori da esso. Più il popolo conserva la vita comune che gli è
propria, e meno sarà possibile l’intervento nella sua esistenza del potere
tirannico e più facilmente esso sarà abolito; poiché troverà sempre meno
ragioni per intervenire, e gli esecutori dei suoi atti di violenza saranno
sempre di meno. Ecco perché alla domanda: quali saranno le conseguenze del
rifiuto all’obbedienza? Si può rispondere con sicurezza: la violenza, che
obbliga gli uomini a guerreggiare contro la forma di governo che li priva
persino del diritto alla terra, sparirà.
La condanna della violenza non può impedire
l’unione degli uomini; tuttavia, le unioni fondate sulla base di un comune
accordo possono formarsi solo quando saranno distrutte le unioni fondate sulla
violenza. Per edificare una casa nuova e solida al posto di quella che cade in
rovina, bisogna demolire i vecchi muri, pietra dopo pietra, e costruire di
nuovo. La stessa cosa accade con i gruppi che gli uomini possono creare dopo la
distruzione di quelli che si mantengono sulla violenza.
Ma che ne sarà di tutti quei frutti del lavoro
umano, che ne sarà della civiltà? È il ritorno alla scimmia e alla vita della
natura, come scriveva Voltaire a Rousseau dicendogli di imparare a camminare a
quattro zampe. Ed è quello che raccontano tutti quelli che credono che la
civiltà di cui godiamo sia un bene così grande che essi non ammettono neppure
il pensiero di rinunciare a niente di quello che la civiltà ci ha dato. “Come!”
grideranno questi uomini. “Voi volete rimpiazzare le nostre città, con le loro
ferrovie elettriche, sotterranee e aree, la loro illuminazione elettrica,
musei, teatri e monumenti, con la comunità rurale, forma grossolana della vita
sociale da così lungo tempo trascurata dall’umanità?”. Certamente, rispondo; le
vostre città future, con i loro quartieri interattivi, i grandi centri sempre
connessi, i loro bordelli transumanistici, le loro banche sotto pelle, le loro
carceri sanitarie con i loro milioni di soldati in camice armati di siringhe;
sì, è possibile rimuovere il tutto senza rimpianti.
Ma quanto di più stupido e di più odioso è ora la
costruzione di case da dieci a trentasei piani in cui gli uomini d’oggi sono
così fieri! Attorno a loro si estendono le terre, con la praterie, le acque
limpide, l’aria pura, i suoi uccelli, i suoi animali, lo spazio dove regna il
sole, eppure essi cercano di nascondere la luce, di fondare enormi città, dove
non ci sono erbe e alberi, dove il cibo è adulterato e in cui tutta la vita è
malsana e dolorosa.
Non è l’indice di una vera pazzia questa società
che si glorifica di tutte le follie che commette?
I difensori della civilizzazione dicono ancora:
“Noi siamo pronti a correggere ciò che è cattivo, ma occorre conservare intatto
tutto ciò che è stato acquistato dall’umanità”. È esattamente ciò che dice al
medico il dissoluto che ha compreso il suo stato di salute, e che è pronto a
fare tutto quello che gli si ordina, a condizione di poter continuare la sua
vita dissoluta. Noi diciamo a questo uomo che il solo mezzo di migliorare la
sua situazione è di modificare il suo stile di vita. La stessa cosa si deve
dire a tutta l’umanità, ed è tempo che essa lo capisca.
La civiltà sarà un bene quando i suoi prodotti
saranno ben impiegati. Gli esplosivi saranno utili per costruire una ferrovia,
terribili per fare una bomba. Il ferro è utile per la costruzione degli aratri,
funesto per fare delle serrature per le carceri. La stampa può divulgare dei
buoni sentimenti e delle sagge idee, ma con più successo ancora essa può
servire idee false e perniciose. La questione di sapere se la civilizzazione è
utile o dannosa non può essere risolta che pensando a cosa predomina nella
società: il bene o il male. Nella nostra società, in cui una minoranza opprime
la maggioranza, la civiltà costituisce una grande male. Essa è un’arma di
oppressione e nulla di più. Le classi superiori devono infine comprendere che
la loro civiltà, o la loro cultura, non sono che un mezzo, una conseguenza
della schiavitù attraverso la quale la grande maggioranza dei lavoratori è
oppressa da un piccolo numero di privilegiati. È tempo di capire che la nostra
salvezza non è quella di continuare a seguire il sentiero sul quale ci siamo
impegnati. Né tanto meno di conservare ciò che abbiamo acquisito. Dobbiamo
riconoscere, invece, che noi abbiamo seguito una falsa strada, che siamo caduti
in un pantano da cui dobbiamo provare a uscire. L’uomo avrà un vita buona e
sensata quando saprà scegliere la migliore tra le strade che gli si aprono
dinnanzi. Ora, nella situazione attuale, l’umanità ha due scelte: o aderire
alla civiltà esistente che assicura la più grande quantità di felicità a una
minoranza, mentre la maggioranza è lasciata nella miseria e nella schiavitù; o
sacrificare una parte delle conquiste della civiltà, cioè tutte le conquiste
vantaggiose per un piccolo numero di persone, e questo subito, senza
procrastinare, una volta che ci sarà riconosciuto che sono precisamente questi
vantaggi che impediscono alla maggioranza di essere libera dalla miseria e
dalla schiavitù.
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