Bologna - LAVORO. PER 95% EDUCATRICI COOP SOCIALI EMILIA-R. "SALARIO NON BASTA" (12.03.25)

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Bologna - LAVORO. PER 95% EDUCATRICI COOP SOCIALI EMILIA-R. "SALARIO NON BASTA"
Bologna, 12 mar. - Per il 95% del campione di educatrici intervistate il salario (in media 1.000-1.300 euro) "non basta", nonostante i rinnovi contrattuali e una maggioranza di loro assunta a tempo indeterminato. Solo il 28,9% lavora a tempo pieno, ad esempio, e tiene banco una certa discontinuità (lavora 12 mesi all'anno solo il 64,7%). Più o meno un 20% vorrebbe passare al settore pubblico, anche perché si ha a che fare con un lavoro condizionato "da scelte di economicità", dove in sostanza le aziende tagliano sui costi (per il 31,8% succede "sempre" e per il 36,1% "spesso"). Il part-time, compreso quello involontario, riguarda il 70% dei lavoratori e delle lavoratrici in ballo. Di questo passo, ormai, una persona su tre vuole cambiare lavoro, cercandone magari uno meno faticoso o che non preveda attività extra, dai colloqui coi genitori in giù: il 30% del campione, infatti, assicura già di svolgerle, "in assenza totale o parziale di riconoscimento" economico e normativo. È quanto emerge da un'indagine sul lavoro nel settore 0-6 anni tra le coop sociali dell'Emilia-Romagna, elaborata e diffusa oggi da Cgil Emilia-Romagna in collaborazione con l'istituto Ires: registra 613 interviste e il 64,1% di chi ha risposto ha un'età maggiore o uguale a 45 anni (il 48,8% tra 30 e 44 anni). Meno di metà degli intervistati è iscritto alla Cgil e al 69% si tratta di lavoratrici-socie di coop sociali, che in questo modo pensano di essere più tutelate in caso di problemi. Spiega sulle lavoratrici in questione Fabio De Santis della Fp-Cgil Emilia-Romagna, aprendo i lavori nella sede del sindacato: "Gestiscono servizi in cui garantiscono la medesima qualità dei servizi gestiti dal pubblico, nell'ambito del sistema integrato. Le condizioni contrattuali, economiche e normative, tuttavia, non sono le stesse. Parliamo di retribuzioni e non solo, ma anche organizzazione, orario di lavoro e calendario" scolastico. Nel settore si trova dunque "un grosso utilizzo di part-time involontario, soprattutto, col 70% delle persone impiegate in queste servizi a tempo parziale. Questo ridimensiona anche gli effetti del rinnovo del contratto collettivo nazionale: ad esempio- spiega De Santis- l'ultimo rinnovo, del contratto di cooperazione, porta 200 euro di incremento lordo, ma sul full-time". Così come il calendario scolastico non garantisce a tutte e tutti una retribuzione per 12 mesi all'anno. Ecco quindi il gap tra chi lavora in ambiti diversi, privato e pubblico, all'interno dello stesso settore, con tutti i problemi del caso: "Rischiamo nel breve-medio periodo una disaffezione da parte delle educatrici, col rischio che anche in questo settore venga quindi a mancare personale in servizi decisivi per la collettività", avvisa De Santis. Per non dire degli appalti, che anche nel settore educativo vengono usati per risparmiare sui costi: "Negli ultimi anni i Comuni hanno avuto la necessità di esternalizzare, per via dei limiti di spesa sulle assunzioni, ma è anche vero che in troppi casi gli appalti prevedono riduzioni di costi che si scaricano sulle addette del settore", rimarca De Santis. Il quale, sulla voglia di cambiare mestiere, ricorda che quello dell'educazione "è anche un lavoro faticoso da tanti punti di vista, fisico ed emotivo, di responsabilità". Nel corso del tempo, poi, evidenzia ancora De Santis, queste lavoratrici "assumono inidoneità o limitazioni e devono essere ricollocate in altri servizi", col rischio di perdere il posto. In tutto questo, a marzo l'albo nazionale delle educatrici non viene accolto esattamente come una boccata d'ossigeno: "La norma è partita l'anno scorso e si rischia un impatto complicato, visto che nel settore esistono diversi titoli di studio e figure professionali. Se l'iscrizione diventa una condizione necessaria per esercitare la professione- puntualizza il sindacalista regionale Fp-Cgil- significa che il legislatore non ha colto la complessità del settore. Non a caso anche Anci nei mesi scorsi ha manifestato le proprie perplessità al Governo".(12.03.25)

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