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Guerra russo-ucraina: le ragioni della disfatta | Francesco Cosimato
Mentre le forze armate russe continuano a conseguire successi di rilievo sui fronti di Kursk, Pokrovsk, Toretsk, Chasov Yar e nella regione di Kharkiv, tra gli sponsor occidentali dell’Ucraina e in seno allo stesso governo di Kiev emergono segnali di grande inquietudine. Il segretario generale della Nato Mark Rutte, dal canto suo, ha annunciato che l’Ucraina non è nelle condizioni per negoziare da una posizione di forza, ed ha aggiunto che «l’attuale 2% del Pil che i Paesi europei della Nato destinano al bilancio della difesa è irrilevante. La Russia sforna in soli 3 mesi la produzione che l’intera Nato da Los Angeles ad Ankara è in grado di sostenere nell’arco di un anno». Il direttore dello Sbu Kyrylo Budanov, scrive «Ukrainska Pravda», avrebbe addirittura esortato il governo di Kiev – che ha poi smentito – a intavolare negoziati prima della fine dell’estate, pena l’estinzione della stessa statualità ucraina. L’Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza dell’Unione Europea Kaja Kallas, dal canto suo, affermato che la struttura comunitaria è «pronta a sostenere l’Ucraina se gli Stati Uniti interromperanno il loro impegno». La presa di posizione fa seguito alla diffusione, da parte della pubblicazione ucraina «Strana», di un presunto piano di pace elaborato dall’amministrazione Trump sotto la supervisione del generale Keith Kellogg che molto difficilmente potrà trovare sponde a Mosca. L’impressione è che la guerra russo-ucraina, primo conflitto ad alta intensità verificatosi dalla Guerra di Corea, stia mettendo in luce la totale inconsistenza di molte delle convinzioni granitiche su cui analisti e decisori occidentali hanno fondato le loro elaborazioni strategiche. Dalla superiorità tecnologica sui rivali alla maggiore performatività dei propri sistemi d’arma, passando per la superiorità schiacciante in materia di produzione industriale e capacità tattica, operativa e strategica, le “verità acquisite” stanno crollando una dopo l’altra sul campo di battaglia ucraino senza che le classi dirigenti occidentali traggano i dovuti insegnamenti. Lo ha rilevato senza mezzi termini la stessa Rand Corporation, noto e influentissimo think-tank strettamente connesso al Pentagono che in una analisi risalente allo scorso luglio ha tratteggiato un quadro fortemente critico – quasi impietoso – dello stato in cui versa il dispositivo militare statunitense e la struttura organizzativa che lo sorregge, ritenuta «ossificata e allergica al rischio». Nel corso degli ultimi decenni, recita il documento, le forze armate statunitensi «hanno messo a punto tecnologie d’avanguardia per ottenere un vantaggio decisivo», ma al giorno d’oggi Cina e Russia «incorporano tecnologia di punta a una velocità sempre maggiore» e «persino attori relativamente poco sofisticati» come gli Houthi yemeniti manifestano una spiccata capacità di «ottenere e impiegare tecnologie moderne per produrre effetti strategici». Il “pensatoio” statunitense stigmatizza quindi l’incapacità degli esperti del Pentagono di comprendere «natura ed entità delle minacce di carattere politico, economico e militare poste agli interessi degli Stati Uniti poste da Cina e Russia», e dalla loro emergente collaborazione a tutto campo. Il verdetto emesso dalla Rand Corporation non lascia scampo: «l’esercito statunitense non è minimamente pronto dal punto di vista operativo. Non lo è oggi e molto difficilmente lo sarà domani». Parliamo di tutto questo assieme a Francesco Cosimato, generale di brigata, paracadutista militare, direttore di lancio e ispettore per attività di controllo degli armamenti. Ha ricoperto numerosi incarichi di comando e staff, tra cui missioni in Somalia, Bosnia e Kosovo. Ha comandato unità come il I Gruppo del 33° Reggimento artiglieria terrestre Acqui e il 21° Reggimento Artiglieria Trieste. Ha operato presso lo Stato Maggiore dell’Esercito e la Nato. Collabora con svariati giornali e riviste, tra cui «Krisis».
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