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Le molte responsabilità dietro il caos in Congo | Filippo Bovo
Nelle scorse ore, il cosiddetto M-23, gruppo militare composto da guerriglieri di etnia tutsi sostenuto dal Ruanda di Paul Kagame e dall’Uganda di Yoweri Museveni, ha conquistato Goma, il capoluogo della regione del Kivu settentrionale, nella Repubblica Democratica del Congo. Come risposta, il governo di Kinshasa ha interrotto i rapporti diplomatici con il Ruanda, accusando il governo di Kigali di aver inviato proprie truppe a supportare lo sforzo bellico dei guerriglieri. I portavoce di Kagame negano qualsiasi addebito, sebbene – scrive «France 24» in una sua analisi – lo scorso anno abbiano riconosciuto di mantenere schierate in territorio congolese truppe e sistemi missilistici per questioni di sicurezza, con il pretesto di una presunta concentrazione di forze congolesi vicino al confine. Gli esperti delle Nazioni Unite, sottolinea il reportage, «valutano che la presenza ruandese nella Repubblica Democratica del Congo ammonti a circa 4.000 soldati». La caduta di Goma rappresenta un passaggio di fondamentale rilievo, perché, oltre a contenere considerevoli riserve di petrolio e gas, la regione del Kivu è attraversata dalla grande faglia africana, che secondo i geologi rappresenta uno dei più ricchi depositi minerari al mondo (diamanti, oro, platino, coltan, cassiterite, cobalto, rame, ferro, ecc.). L’interesse di Kigali verso quest’area risale quantomeno agli anni ’90, quando, in seguito alla terribile guerra civile ruandese, il Rwandan Patriotic Front di Kagame appoggiò il golpe ordito dal Congrès National pour la Défense du Peuple (Cndp) del tutsi congolese Laurent Nkunda, un predicatore cristiano-pentecostale già membro del Rwandan Patriotic Front ed ufficiale dei servizi segreti sotto Kagame. Il colpo di Stato fallì, grazie anche all’intervento a favore dell’esecutivo guidato da Laurent Kabila degli eserciti di Zimbabwe, Namibia e Angola, ma il Paese si ritrovò comunque spaccato a metà tra l’ovest controllato da Kabila e i suoi alleati, e l’est in balia dei guerriglieri agli ordini di Nkunda, la cui lotta contro i lealisti fu accompagnata da razzie e massacri di civili. La copertura garantita dalle forze di occupazione ruandesi e ugandesi consentirono al Congrès National pour la Défense du Peuple di agire con estrema disinvoltura, costringendo le popolazioni locali a costituire proprie milizie di difesa. La conseguente proliferazione di bande armate e gruppi paramilitari non solo congolesi al soldo delle multinazionali minerarie e petrolifere favorì la degenerazione del conflitto, che nell’arco di un decennio ha mietuto qualcosa come 6 milioni di vite umane e trasformato la propaggine orientale della Repubblica Democratica del Congo in una sorta di “capitale mondiale dello stupro” cronicamente destabilizzata. Il Congrès National pour la Défense du Peuple si è però rivelato strumentale sia a innescare un flusso costante di materie prime verso il Ruanda, dove in pochissimo tempo sono sorte decine di istituti bancari specializzati nella compravendita dei minerali saccheggiati nella Repubblica Democratica del Congo, sia a minare l’autorità di Kinshasa sul Kivu, ora acquisita dal gruppo M-23 che, guarda caso, si compone il larga parte da guerriglieri che avevano combattuto sotto la guida di Laurent Nkunda. A sua volta, il governo di Paul Kagame, militare addestrato presso lo Us Army Command-General Staff College di Fort Leavenworth, in Kansas, ha sempre beneficiato del sostegno occidentale, e in particolare degli Stati Uniti e di Israele. Da un rapporto delle Nazioni Unite risalente al 2001 si apprende infatti che «approfittando del ritiro della De Beers dalle regioni diamantifere in guerra, gli israeliani hanno istituito una vasta rete operativa di cui fanno parte, tra gli altri, Dan Gertler nella Repubblica Democratica del Congo, Lev Leviev in Angola e Shmuel Shnitzer in Sierra Leone. In tutti e tre i casi, il modello è lo stesso. I diamanti provenienti dai Paesi in guerra vengono scambiati per denaro, armi e addestramento militare. Le pietre vengono poi trasportate a Tel Aviv da ex piloti dell’aeronautica israeliana, il cui numero è aumentato in modo significativo sia nel territorio angolano controllato dai ribelli dell’Unita che nella Repubblica Democratica del Congo. Una volta sbarcati in Israele, questi diamanti vengono poi tagliati e venduti al Ramat Gan Diamond Center». Lo scorso anno, invece, il governo congolese ha citato in giudizio presso tribunali francesi e belgi le filiali della Apple, accusate di approvvigionarsi di minerali strategici per il settore dell’alta tecnologia da oltre cento gruppi armati irregolari che imperversano nella regione del Kivu, M-23 in primis. Parliamo di tutto questo assieme a Filippo Bovo, giornalista, saggista e collaborate del sito «Le Vie del Mondo».
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