Signor Aggio

14 days ago
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https://gratis-4733139.webadorsite.com/signor-aggio - Quanto segue è la parte scritta da me circa 20 anni fa nei primi due PDF di https://sovranitamonetaria.altervista.org/signoraggio-la-grande-truffa/, quando cantai questo brano di Arbore. In quel periodo creai un sito internet intitolandolo AFIMO ("Associazione per la Fiscalità Monetaria") lasciandomi influenzare da Nicolò Giuseppe Bellia, che conobbi a Roma. Accorgendomi del dadaismo e di grossolani errori di Bellia, trasformai immediatamente il titolo in "Abbaco Filosofico della Moneta", che poi rimossi definitivamente. Pertanto i riferimenti ai link digilander in quanto segue non sono più attivi. Buona lettura. (Nereo 18 gennaio 2025) -
"Ma la BANCA D'ITALIA ha interessi pubblici ed è privata? - commenta un cittadino -
Come mai? Evidentemente si vogliono nascondere i veri proprietari. che a quanto pare non sono gli italiani, cioè lo Stato Italiano... Se non è così, com'è ? Giornali e televisioni ogni tanto dicono che il popolo italiano ha un mostruoso debito pubblico, ma nessuno dice verso chi è debitore... Com'è questa storia ? E' così difficile saperla?
O forse la spiegazione è semplicissima: è soltanto una truffa, una grande truffa!!!"
Un po' di storia allora:
Pare che il 1861 sia stato l'anno dell'unità d'Italia.
Una dozzina di anni prima - nel 1849 - si costituiva in Piemonte la banca Nazionale degli Stati Sardi, di proprietà privata. Il maggiore interessato, Cavour - che aveva interessi propri in quella banca (1) - impose al parlamento savoiardo di affidare a tale istituzione compiti di tesoreria dello Stato. Si ebbe così una banca privata che emetteva e gestiva denaro dello Stato!
A quei tempi l'emissione di carta moneta veniva fatta solo dal Piemonte.
Il Banco delle Due Sicilie emetteva invece monete d'oro e d'argento.
La carta moneta del Piemonte aveva anch'essa una riserva d'oro - circa 20 milioni - ma il rapporto era: tre lire di carta per una lira d'oro, dunque una "convertibilità in oro" fra virgolette.
Inoltre, per le continue guerre che i savoiardi facevano, anche quel simulacro di convertibilità crollò, tanto che la carta moneta piemontese - per l'emissione incontrollata che se ne fece - era diventata carta straccia già prima del 1861.
Ma torniamo ai fatti. Conquistata tutta la penisola, i piemontesi misero le mani nelle banche degli Stati appena conquistati.
E dopo qualche tempo fu la banca Nazionale degli Stati Sardi a divenire la banca d'Italia.
Con l'occupazione piemontese era stato immediatamente impedito al Banco delle Due Sicilie - diviso poi in Banco di Napoli e Banco di Sicilia – di raccogliere dal mercato le proprie monete d'oro per trasformarle in carta moneta secondo le leggi piemontesi, poiché in tal modo i Banchi avrebbero potuto emettere carta moneta per un valore di 1200 milioni e sarebbero potuti diventare padroni di tutto il mercato finanziario italiano.
Quell'oro pian piano passò nelle casse piemontesi, nonostante la nuova banca d'Italia non risultasse averne nella sua riserva, e nonostante appunto tutto quell'oro rastrellato al Sud. Come avevano fatto? Avevano dato a tutto quell'oro una via "sociale", naturalmente, quella del finanziamento per la costituzione di imprese al nord, operato da banche, costituitesi per l'occasione come socie - guarda un po' - della banca d'Italia: Credito mobiliare di Torino, Banco sconto e sete di Torino, Cassa generale di Genova e Cassa di sconto di Torino.
Le ruberie operate, e l'emissione non controllata della carta moneta ebbero come conseguenza che ne fu decretato già dal 1° maggio 1866, il corso forzoso: la lira di carta non poteva più essere cambiata in oro.
Da qui incominciò a nascere il Debito Pubblico: lo Stato, per finanziarsi, iniziava a chiedere carta moneta a una banca privata.
Lo Stato quindi, a causa del genio di Cavour e soci, cedette da allora la sua sovranità in campo monetario, affidandola a dei privati, che non ne avevano - non ne hanno e mai dovrebbero averne alcun titolo o diritto – in quanto la sovranità per sua natura non è cedibile. Essa è del popolo e dello Stato che lo rappresenta.
Oltretutto da quando nel 1935 fu decretato definitivamente che la lira non era più ancorata all'oro, si ebbe che il valore della carta moneta derivò da allora semplicemente e unicamente dalla convenzione di chi la usa e di chi l'accetta come mezzo di pagamento.
La carta moneta, dunque, è carta straccia. Ne consegue che alla banca d'Italia - che è privata - e alla quale si dovrebbe pagare il debito pubblico, in realtà non si deve dare nulla.
Da tutta questa storia si può facilmente capire in mano a chi siamo e che, dato che la banca d'Italia ha un immenso potere finanziario e politico, qualsiasi governo in Italia conta come il due di coppe.
Tratto da: http://digilander.libero.it/afimo/privata.htm
Sulla finanza d'assalto... notorio
Il 22/12/2003, in piena esplosione dei crac Cirio e Parmalat, il pool di banche DS (1) si mette d'accordo per uno strano pagamento di un debito, come se si trattasse della sua metà, del tipo: "Mi devi 100? Dammene 50, e non se ne parla più".
Roba da stockisti per fondi di magazzino? Più o meno è così, ma si tratta di un'operazione "a saldo e stralcio" che prevede la cancellazione del 50% del debito complessivo che il partito di Fassino e D'Alema ha con tali banche e che ammonta a 235 milioni circa di euro (2)!
Ora, la metà di 235 è 117,5 e non si tratta di 117,5 ciccioli andati a male, ma di 117,5 milioni di euro, vale a dire: 117.500.000 X 1936,27 = 227.511.725.000 duecentoventisette miliardi e mezzo di lire.
Che senso abbia un simile trattamento di favore a un partito politico da parte di banche, proprio quando risparmiatori ad esse collegati stanno pagando sulla loro pelle la "finanza creativa" dei Tanzi e la disattenzione nel collocamento di "junk bonds" (obbligazioni fasulle, chincaglieria) da parte di sportellisti poco svegli, mi è difficile dirlo.
Una simile discrepanza di trattamento tra DS e "normali" risparmiatori mi sembra poco promettente per il futuro dell'economia italiana.
È infatti iniziato il secondo decennio della pazzia, da me annunciato nella pagina di auguri 2004 di buon anno pubblicata un mese prima (il 27/11/2003: http://digilander.libero.it/afimo/2004_decennale_della_pazzia.htm), non tanto perché i webmasters di ABBACO FILOSOFICO DELLA MONETA siano dei veggenti, ma semplicemente perché basta essere normali esseri umani pensanti per accorgersi di ciò.
Infatti, dopo i cinque anni (1996-2001) di centro-sinistra con i tre governi "Prodi", "D'Alema" e "Amato" ad alta spremitura fiscale per:
1. portare l'Italia in Europa;
2. offrire massima garanzia ai rapinatori della finanza (vedi privatizzazioni di Seat Pagine Gialle e Telecom);
3. garantire il "controllo di legalità" sulle aziende del Cavaliere Nero, ciò era - almeno per me - assolutamente prevedibile.
Chi osserva il passato di ieri in rapporto all'oggi, può ben aspettarsi cosa succederà domani, anche e soprattutto se l'oggetto di osservazione è il subumanesimo imperante, vale a dire un "umanesimo" basato sulla "specie", anziché sull'individuale.
Certamente è difficile che l'uomo della specie comprenda l'Abbaco filosofico della moneta, Pound o Steiner(3). Faccio prima a dirgli: io, come uomo della specie ho una normale defecazione giornaliera, quindi prevedo che anche domani l'avrò. Non per questo sono un preveggente. Mi scuso con gli umani per questo "passaggio", ma sono ancora alterato al solo ricordo di quei 5 anni di pacatezza e di tolleranza rossastre... e non solo di quelli...
E dunque: perché l'inizio del 2004 non fa che riproporre l'inizio del decennio passato?
Cosa accadde dieci anni fa, a cavallo tra il '92 e la fine del '93?
"Niente!" Prese solo il via la svendita delle grandi aziende pubbliche italiane ai gruppi stranieri. Fu un'operazione inaugurata da San Giorgio (poiché di costui molti parlano ancora come di un santo, chiamerò "S. Giorgio" lo speculatore internazionale George Soros, protagonista fra l'altro di un'indimenticabile cena newyorkese in compagnia di Massimo D'Alema, diventato anch'egli - sul finire degli anni '90 - se non un santo, il "massimo statista"). A quel tempo, San Giorgio - oggi riciclatosi come nemico implacabile di Bush e come guru dei no global - giocò dunque molto pesantemente contro la lira, la nostra lira. Fu così che iniziò, nella primavera del 1992, l'operazione di spoliazione dell'Italia. Tutto avvenne con una serie di avvenimenti-chiave:
1. crisi della Prima Repubblica;
2. successivo ciclone di Tangentopoli;
3. privatizzazioni;
4. attacco alla lira, appunto da parte di San Giorgio, che grazie a quella incursione speculativa guadagnò il 560%.
Al quinto mese di quell'anno, 23/05/1992, la mafia uccise il giudice Falcone, che stava indagando non solo sui rapporti tra mafia e business politici, ma soprattutto su somme ingenti di denaro sporco del Pcus. Falcone avrebbe dovuto infatti incontrarsi di lì a pochi giorni col procuratore moscovita Stepankov, in merito a tale questione di denaro sporco, come venne dichiarato poi dallo stesso Stepankov nel 1999, durante una presentazione del libro "L'oro di Mosca" di Valerio Riva. Le competenze di Falcone sui flussi di denaro sporco passavano così al collega Borsellino, che - regolarmente - saltò per aria due mesi dopo. Sempre nella primavera di quello straordinario 1992, Luigi Ramponi, capo dei servizi segreti militari (Sismi), si lasciò scappare la frase "O la Dc e il Psi si rinnovano, oppure sono destinati a morire". Il resto è storia. Il 17/03/92, Vincenzo Scotti allora ministro degli Interni, lanciò l'allarme - allertando tutti i prefetti - contro il rischio di possibili attacchi finalizzati a destabilizzare la politica italiana.
Sarà poi lo stesso Scotti, nel 1999, a raccontare la verità a Paolo Cirino Pomicino: "Tutto nacque da una comunicazione riservata fattami dal capo della polizia Parisi che, sulla base di un lavoro di intelligence svolto dal Sisde e supportato da informazioni confidenziali, parlava di riunioni internazionali nelle quali sarebbero state decise azioni destabilizzanti sia con attentati mafiosi sia con indagini giudiziarie nei confronti dei leaders dei partiti di governo".
Successe tutto in pochi mesi, fra marzo e luglio 1992:
1. cavalcata del pool di Mani Pulite,
2. eliminazione di Falcone,
3. eliminazione di Borsellino.
A settembre, i capi di Polizia e dei Carabinieri, durante una cena, affermarono poi che Scotti aveva fatto bene a lanciare quell'allarme. E infatti, cinque mesi prima, egli veniva oltretutto "informato dal Sisde che a notte fonda due camion stracarichi didocumenti erano partiti da Botteghe Oscure"(4), come risulta dal libro "Strettamente riservato", senza che ad oggi siano pervenute querele o smentite all'autore, il "Geronimo" Pomicino (5). Nel primo decennio della pazzia si incominciava dunque a "svendere" l'Italia e immediatamente - settembre '92 -, quasi in contemporanea con la nomina di Giuliano Amato a premier, l'agenzia di rating Moody's si incazzò molto contro l'Italia, quasi per dire: "Ci sono modi e Moody's per (s)vendere!". Senza un motivo apparente, non appena giunse a Palazzo Chigi la bella faccia da onesto di Giuliano Amato, noto frequentatore di ambienti finanziari americani, Moody's fece retrocedere i Bot italiani alla serie C della credibilità. E perché? Certamente non ci voleva un grande genio per affermare il dissesto dei conti pubblici italiani... È sempre stato così... E così era anche due anni prima, nel '90, quando l'agenzia di rating metteva invece i Bot italiani ancora in serie A. E Moody's, pertanto, si affrettò a motivare la sua valutazione negativa in quanto non vi sarebbero state sufficienti garanzie italiane in fatto di privatizzazioni dei beni pubblici. Purtroppo però, l'andare a finire sulla sua lista nera, significa che gli speculatori internazionali si precipitano per disfarsi dei Buoni del Tesoro del "paese unwilling" ("paese non volenteroso")... E così accadde, e per contrastare il crollo, l'Italia si comportò sciaguratamente di conseguenza: offrì tassi di interesse più alti sui suoi Bot al fine di ingolosire gli speculatori. Si sa, un rischio maggiore lo si affronta più volentieri a fronte di una prospettiva di maggior guadagno. Carlo Azeglio Ciampi, all'epoca capo di Bankitalia, non perse tempo: ad ogni brutto voto di Moody's aumentò i tassi dei Bot, ottenendo lo strepitoso risultato che ad ogni 1% di aumento corrispondeva un esborso aggiuntivo di diciassette mila miliardi di vecchie lire per i contribuenti italiani. Per "salvare la lira", Ciampi spese invano quaranta mila miliardi e nonostante questo sforzo la svalutazione della nostra moneta si attestò sul 30% del valore. L'Italia finì fuori dallo Sme. E, in onore dell'italica capacità di saper riconoscere i talenti, Ciampi fu chiamato a sostituire Giuliano Amato a Palazzo Chigi. Così iniziava il primo decennio della pazzia...
E i pazzi della "Banda d'Italia", tutti agitati nella fregola della privatizzazione, fecero tutto in quattro e quattr'otto. Bisognava privatizzare, di corsa, tutto. Lo chiedeva Moody's, non si poteva scherzare! Prima del capitombolo della lira, Giuliano Amato non perse tempo e cominciò dalle basi: cercò consulenti e partners per far partire la "rivoluzione liberale". E come consulenti il governo italiano scelse le tre maggiori banche d'affari di Wall Street: Goldman Sachs, Merrill Lynch, e Salomon Brothers, perfetto "trio lescano" delle meraviglie, che divenne consulente del governo italiano per le privatizzazioni. Peccato che sotto questa veste molti speculatori internazionali vennero a conoscenza di informazioni riservate in merito alle imprese da privatizzare.
Molti erano quelli che sapevano, e molti erano ingolositi da questi "bocconi". C'era però un problema: come fare tombola?... come accaparrarsi le aziende senza pagarle per quello che era il loro reale valore? Semplice! Occorreva una bella svalutazione della lira rispetto al dollaro! Soprattutto per chi disponeva di tanti dollari per acquistare le aziende, essa sarebbe stata la benvenuta! E, quando si dice il caso: accadde proprio così! Si cominciò con Moody's e si finì al largo di Civitavecchia, dove, il 2 giugno 1992 a bordo del panfilo Britannia, partito dal porto laziale, e in navigazione lungo le coste della Sicilia, si svolse la famosa riunione del gruppo Bilderberg. Tra i navigatori a bordo del Britannia c'erano - oltre ai Reali britannici - i rappresentanti della Barclays Bank, della Warburg, della Merril Lynch, della Salomon Brothers, e della Goldman Sachs.
Per la cronaca, la Barclays Bank, per esempio, controllava la Bank Leumi (6), il più grosso istituto finanziario israeliano, già proprietario della Union Bank of Israel; la famiglia dei Warburg, assieme ai Rothschild, agli Oppenheimer, agli Schroeder e ad altri aristocratici sionisti, "divennero i principali sostenitori finanziari di Adolf Hitler" (7), tutti nomi ampiamente documentati nel libro "Droga S.p.A., la guerra dell'oppio", in cui è dimostrato come queste famiglie sono a loro volta controllate dall'oligarchia britannnica: "L'élite britannica funziona come le Famiglie della mafia. A partire dalla prima Guerra dell'Oppio, incontriamo sempre gli stessi nomi alla testa delle più importanti banche britanniche [...] I rampolli di queste stesse famiglie controllano non solo ogni banca importante, ogni grossa compagnia mineraria e di trasporti di Londra, ma anche la HongShang, la Jardine Matheson, la Barclays Bank, l'Anglo-American Corporation, la N. M. Rothschfld e la Lazard Frères. Come dimostreremo, le famiglie che appartengono a questa mafia sono le stesse che dirigono la politica ed i servizi segreti della Gran Bretagna, così come facevano i loro nonni durante le Guerre dell'Oppio e i loro trisavoli contro le colonie che si ribellavano all'impero britannico. Ad un esame più attento però, l'immagine popolare della mafia si rivela come una sorta di negativo fotografico: gli italiani, gli ebrei, i cinesi Ciao Ciu e le altre minoranze etniche coinvolte nel traffico degli stupefacenti sono semplicemente gli alleati dell'oligarchia britannica, in quanto le loro solide reti familiari assomigliano e sono parallele a quelle dell'oligarchia. Ma l'oligarchia britannica è qualcosa di più profondo e di più sinistro. Essa è così potente in Gran Bretagna che mentre uno dei nipoti della
Famiglia sdogana una spedizione di oppio a Hong Kong, lo zio regola i pagamepti tramite una grossa banca londinese, il cugino spedisce oro dal mercato di Hong Kong e un altro parente nei servizi segreti britannici tiene a bada la polizia antinarcotici americana" (8).
Ma proseguiamo. Fra gli italiani, erano presenti: Mario Draghi, direttore delegato del ministero del Tesoro; Riccardo Galli, dell'Iri; Giovanni Bazoli, dell'Ambroveneto; Antonio Pedone, del Crediop; Beniamino Andreatta; dirigenti dell'Eni, Agip, Mediobanca, Comit, Generali e Società autostrade. Il giorno dopo, al Tg1, il giornalista Maurizio Losa annunciava che a Milano "ora, nell'inchiesta sulle tangenti, c'è anche il nome di Bettino Craxi". Uno dei pochi a dire "no" all'operazione Britannia fu il direttore generale del Tesoro, Mario Draghi, lo stesso che nel 1999 si trovò ad opporsi a Massimo D'Alema al momento della scalata di Colaninno a Telecom, quando il Tesoro fu espressamente invitato dal capo del governo a disertare il Cda di salvataggio antiopa e a spianare così la strada all'incredibile speculazione che si concluse con l'acquisizione di Telecom. Spesse volte la stampa manettara e moralista è indifferente alla dignità umana. Perciò nessuno parlò del comportamento di Draghi, quando scese dal Britannia per evitare di partecipare a quella che sembrava diventare e che effettivamente fu "una svendita delle grandi aziende pubbliche italiane alle multinazionali americane e britanniche"... In seguito fu lo stesso Draghi ad ammettere il suo imbarazzo durante un intervento in aula alla Camera per rispondere alle interrogazioni di tre parlamentari sul caso. Guarda caso, dopo quella "merenda" sul Britannia del 2 giugno 1992, nel solo settore tradizionalmente più importante per la nostra economia, quello agroalimentare, numerose furono le ditte svendute agli stranieri: la Locatelli, l'Invernizzi, la Buitoni, la Galbani, la Negroni, la Ferrarelle, la Peroni, la Moretti, la Fini, la Perugina, e la Mira Lanza. L 'operazione Britannia garantì alle multinazionali anglo-americane di mettere le mani su quasi il 50% (precisamente il 48%: 34 agli americani e 14 ai britannici) delle aziende italiane finite in mano straniera. Sul finire degli anni '90 sarebbe invece stata la volta dei francesi a fare il mega shopping nei settori strategici della grande distribuzione, della gestione delle acque, e dell'alta moda, mentre la stampa libera, democratica e antifascista... dormiva. Ma sarebbe meglio dire che prestava bellamente il fianco al nemico. Infatti, in quel periodo di colonizzazione mascherato dall'incipiente cosiddetta "rivoluzione" di Mani Pulite, il trombonismo mediatico giocò un ruolo fondamentale. Nel luglio '92, appena la Goldman Sachs annunciò che la lira era pericolosamente sopravvalutata, ad agitare il "rischio Italia" cominciò subito - guarda caso - il Financial Times, proprietà di Samuel Brittan, e continuò l'Economist, proprietà di Evelyn De Rotschild, ed il Washington Post (della Salomon Brothers e dei Lazard) diede man forte. In Italia, l'allarme mediatico del "trio lescano", pardon, anglo-americano, fu amplificato a dismisura dai giornali di Agnelli, di De Benedetti e della Confindustria.
Nell'agosto del 1993, Nicola Mancino, ministro degli Interni, a seguito dell'ondata di attacchi terroristici che colpirono il paese, dichiarò: "Non escludo un ruolo della finanza internazionale". Tre mesi dopo, il 5 novembre, fu il "venerdì nero" della lira anche a seguito di voci londinesi su un possibile avviso di garanzia nei confronti del presidente Oscar Luigi Scalfaro, oggi noto girotondino. Il 6 novembre, è la volta di Ciampi. Allora, da bravo presidente del Consiglio, scrisse una lettera a Vittorio Mele, procuratore capo della Repubblica di Roma, affinché "avviasse le procedure relative al delitto previsto all'art. 501 del codice penale, considerato nell'ipotesi delle aggravanti in esso contenute". Ciò che è incredibile è che proprio lui, questo grande lavoratore nella manipolazione di capitali, chiedeva di indagare su un possibile reato di aggiotaggio da parte di chi aveva operato contro la lira e i titoli quotati in Borsa. Nel dicembre 1993 l'Italia era divenuto un paese a completa sovranità limitata, e gli esperti del FMI (Fondo Monetario Internazionale) vennero dunque a Roma per correggere il bilancio stilato dal governo Ciampi, e dissero: "Benino, ma bisogna fare di più". Per il FMI, ridurre il deficit pubblico non bastava. Occorreva ottenere un avanzo primario del 4-5% entro il 1994-'95.
E come fare? Semplce! Attraverso "ulteriori azioni fiscali"!
E chi poteva fare ciò? Chi poteva accollarsi il peso politico di una simile responsabilità in un momento in cui le sedute della Camera si tenevano a Palazzo di Giustizia? Dopo le elezioni amministrative del novembre 1993, la Dc scomparve. E ciò favorì la grande affermazione della coalizione di sinistra, guidata dall'allora Pds, mentre la Borsa festeggiava la vittoria degli "ex" compagni! Ma come! Fino a pochi anni prima, la vittoria elettorale di un partito di sinistra avrebbe significato il crollo delle Borse!
Invece allora, subito dopo la vittoria della Quercia, la Borsa di Milano guadagnò 2,5 punti. E per di più, i primi entusiasti acquirenti furono investitori stranieri. Come mai? Stranamente tra il primo e il secondo turno delle amministrative, Financial Times e Le Monde, i due giornali dell'establishment che non hanno mai digerito la discesa in politica di Berlusconi, si precipitarono a Roma per intervistare, deferenti, Achille Occhetto. In entrambe le interviste Occhetto si disse fermamente intenzionato - ovviamente - a proseguire sulla linea politica di Carlo Azeglio Ciampi. E oplà: la rivoluzione di cui la finanza internazionale aveva bisogno era nel '93 già delineata: la sinistra avrebbe lasciato che capitali e aziende fuggissero all'estero come chiedevano le leggi del libero mercato, nuovo dogma dei post-comunisti. In compenso i nuovi leader dell'Italia dalle "mani pulite" avrebbero avuto mano libera per esercitare in patria tutto l'antifascismo che volevano. Questo, secondo me, fu il vero motivo che fece decidere nel 1994 Silvio Berlusconi a scendere in campo, cosa che causò poi un ulteriore crollo della lira il 25 maggio 1994, quando la Borsa perse il 2,6% in poche ore, a seguito di voci - sempre londinesi, guarda caso - su un presunto avviso di garanzia contro il nuovo presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. E, ovviamente, l'avviso arrivò "puntualmente" qualche settimana dopo, recapitato a mezzo stampa dal quotidiano della Fiat. Oggi, nel secondo decennio della pazzia, dopo che i camerieri dei banchieri hanno ramazzato tutto e sono stati smascherati, i banchieri sono rimasti allo scoperto. Siamo perciò ora all'osso dell'oramai putrefatto organismo sociale. E adesso - dopo i fatti di FIAT, Cirio, e Parmalat - si incomincia ad avvertire da lontano un pallido clima dialettico sulla riforma della magistratura. Il presidente dell'ANM (Associazione Nazionale Magistrati) Edmondo Bruti Liberati propone oggi la rimozione dei magistrati arraffoni. Ovviamente, nella sua relazione introduttiva al Congresso ANM di Venezia del 5-8/02/04 intitolata "Giustizia più efficiente e Indipendenza della magistratura a garanzia dei cittadini", egli non si esprime in questi termini, e si riferisce a quei magistrati inadatti a superare i controlli sulla loro professionalità e sulla "qualità" e quantità del lavoro svolto. Parla soprattutto di "qualità": di "impegno per la qualità del servizio giustizia", di leggi che hanno inciso solo negativamente "sulla qualità e sulla funzionalità del servizio giustizia", di lesioni gravi dei diritti dei cittadini che ricadono pesantemente "sul sistema economico e di impresa e sulla stessa tenuta della civile convivenza. Insomma è un problema centrale per la qualità della nostra democrazia", di impegno sempre maggiore "in qualità e quantità di decisioni di giustizia" per contribuire al "miglioramento della qualità del servizio, attraverso gli strumenti della formazione e della verifica della professionalità dei magistrati", dell'attuale impossibilità di "rendere un servizio giustizia di qualità in tempi accettabili", ecc.
Devo dire che tutto questo lungo discorso dell'Edmondo palesa una certa ingenuità, e come studioso del linguaggio mi sembra che la parola "qualità", collocata nel contesto di un regno della quantità di moneta ramazzata faccia rabbrividire. Infatti oggi, al fine di disfarsi dei magistrati inidonei, bisognerebbe rimuoverli tutti. E mi spiego. La questione è alquanto problematica. Secondo la cultura del diritto ci sarebbe infatti un solo caso in cui emerge chiaramente la necessità di rimozione del magistrato. Questo caso è quando il reato consiste in un fatto notorio. Ciò però comporta il seguente problema: se il fatto notorio nessuno lo nota, è ugualmente un fatto notorio? Se la risposta è affermativa, allora bisognerebbe stabilire per quale motivo tutti i magistrati sono ciechi volontari oppure perché fanno tutti gli gnorri. Si arriverebbe allora a scoprire che abbiamo dei magistrati completamente subumani, insomma molto più vicini all'animale che all'umano. E probabilmente è così. I magistrati sono dei delinquenti esattamente come i politici. Occorre allora spiegare il contenuto del concetto di "notorio": si intende per "notorio" tutto ciò che per avere rilevanza
giuridica non necessità di prova alcuna, né di accertamento giudiziale. A questo punto, ecco un esempio clamoroso di fatto notorio: è notorio che la banca centrale emette moneta prestandola. A conferma e salvaguardia di questo prestito, essa vanta sulla moneta il diritto inestinguibile di signoraggio, che è analogo al vincolo ipotecario sugli immobili. È altresì notorio - in quanto fatto storico - che la banca centrale poteva affermare di essere proprietaria della moneta quando la moteta era concepita come titolo di credito rappresentativo della sua relativa riserva aurea, per cui era convertibile in oro a richiesta del portatore. Poi - altro fatto notorio - venne però abolita la convertibilità (1912). E - di nuovo un altro fatto notorio - venne abolita - con la fine degli accordi di Bretton Woods (1971) addirittura anche la riserva stessa. La moneta diventò perciò simile ad un francobollo di antiquariato, avente valore per convenzione, senza bisogno di riserva aurea e, come ogni bene mobile, è proprietà del possessore in buonafede. In base a tutti questi fatti notori, risulta che il valore della moneta viene creato non solo dal cittadino che la stampa, ma parimenti dal cittadino che l'accetta. Infatti il valore sorge - e sempre sorgerà - attraverso il rapporto fra una cosa e l'altra o fra una persona e l'altra. Ne consegue - se fosse notato ma evidentemente non lo è perché il pensare umano è carente - che all'atto dell'emissione la moneta dovrebbe essere accreditata, non prestata. Altra cosa che dovrebbe essere notoria ma che non lo è, consiste nel fatto che le banche centrali, pur avendo cessato di essere proprietarie, per i fatti sopra citati, continuano a comportarsi come tali, vale a dire: continuano ad emettere moneta prestandola, ma così facendo prestano ciò che non appartiene loro, prestano il dovuto, e conservano il diritto di signoraggio, che in tal modo diventa ipoteca non sul debito del debitore, ma sul credito del creditore, una vera e propria pazzia.
Per questo motivo ho chiamato il 2004, il decennio della pazzia, il secondo decennio della pazzia, in attesa che il fatto diventi notorio... e che l'umanità guarisca dalla sua malattia: la rimozione del proprio giudizio critico, per cui ciò che è notorio non viene notato...
E se nessuna norma stabilisce chi è il proprietario della moneta all'atto dell'emissione, non si potrà mai sapere chi - nella fase della circolazione monetaria - è creditore, e chi è debitore, perché manca la certezza del diritto. Considerando che i fatti notori qui evidenziati costituiscono fattispecie criminose di truffa, associazione a delinquere, falso in bilancio, usura, e di istigazione al suicidio da insolvenza, i magistrati non malati dovrebbero essere tenuti a promuovere immediatamente i relativi procedimenti penali come adempimento di atto dovuto.
Pertanto, per salvaguardare la "buona qualità" dei provvedimenti giudiziari, i magistrati sani, a tutela delle vittime dei suddetti reati - auspicata da Edmondo Bruti Liberati - dovranno:
1. concedere la moratoria dei debiti;
2. concedere la sospensione di tutti i procedimenti fallimentari, di esproprio, ed esecutivi;
3. consentire l'emissione di una moneta alternativa di proprietà del portatore, senza riserva aurea (come già è), e libera dal debito non dovuto del signoraggio;
4. confiscare e distribuire al popolo gli oltre 4 milioni di miliardi di vecchie lire del capitale monetario di Bankitalia, essendo illegittime le sue emissioni monetarie a debito - e poiché tali miliardi non esistono come liquidità:
5. espropriare tutte le proprietà delle Società per Azioni (S.p.A. private con scopo di lucro) socie di Bankitalia, fino alla concorrenza del credito pubblico.
Una volta constatato che la banca centrale, prestando il dovuto, carica il costo del denaro del 200% oltre gli interessi, rendendo impossibile la puntualità dei pagamenti, e causando il suicidio da insolvenza (malattia sociale che non ha precedenti nella storia), la relativa responsabilità dovrebbe dunque ricadere - proprio grazie ad un'ANM capace di osservare i propri provvedimenti sulla "qualità" della giustizia - non solo sui banchieri, ma anche sull'ordine dei magistrati per aver ignorato il "notorio". Se dunque queste premesse - a mio parere incontestabili per un essere umano sano - non saranno notate dai magistrati, si avrà come conseguenza che, per legge, esse non potranno rientrare nei fatti "notori", e che la proposta dell'Edmondo di "rimozione" dei magistrati inidonei - non potendo riferirsi anche a coloro che la propongono, vale a dire alla totalità della Magistratura - avrà un solo modo per essere attuata: "rimuovere" gli altri, cioè le persone che per il loro pensiero non conforme a quello democraticamente dominante saranno considerate alienate. Come è stato per Pound, che fu rinchiuso in manicomio per il suo pensiero anti usurocratico, così continuerà ad avvenire per ogni cittadino "colpevole" di pensare in modo diverso rispetto alla maggioranza democratica? Io non credo. Sono venuto su questo pianeta per dire pane al pane e vino al vino. Forse mi potranno anche mettere in manicomio in nome della democrazia, ma proprio per questo motivo, la democrazia risulterà essere, per dirla alla Ugo, una "cagata pazzesca".
NOTE
(1) Cfr. l'Editoriale 2004 di "Tempi duri"; cfr. altresì: si tratta del "pool di banche creditrici del partito dei Democratici di Sinistra capeggiate da Carisbo - gruppo San Paolo-Imi - con un credito di circa 30 milioni di euro, e costituite inoltre da Banca Intesa e Capitalia - creditrici ognuna per 21 milioni di euro - e da Monte dei Paschi di Siena con un credito di circa 3,5 milioni di euro" (vedi anche:
http://www.perlulivo.it/pipermail/gargonza/msg15784.html: sito oggi inattivo o rimosso)
(2) Ibid.
(3) "L'individuale in me - spiega Steiner nella sua Filosofia della libertà - non è il mio organismo coi suoi impulsi e i suoi sentimenti, ma il mondo unitario delle idee, che risplende in questo organismo. I miei impulsi, i miei istinti, le mie passioni fanno soltanto che io appartenga alla specie generale uomo, la circostanza che in questi impulsi in queste passioni e sentimenti, si estrinseca un ideale in un modo particolare, crea la mia individualità. Per i miei istinti e impulsi io sono un uomo come se ne trovano dodici per dozzina; per la particolare forma dell'idea per cui nella dozzina mi designo come io, sono un individuo. Per le differenze della mia natura animale, solo un essere a me estraneo potrebbe distinguermi dagli altri. Per il mio pensare, cioè per l'attivo riconoscimento dell'elemento ideale che vive nel mio organismo, mi distinguo io stesso dagli altri. Dell'azione del delinquente, non si può quindi dire che derivi dall'idea. Anzi, è proprio la caratteristica delle azioni delittuose di derivare dagli elementi extraideali dell'uomo".
(4) Cfr. nota 1.
(5) Ibid.
(6) Kalimtgis-Goldman-Steinberg, "Droga S.p.A., la guerra dell'oppio", Ed. Logos, Roma, 1980.
(7) Ibid.
(8) Ibid.

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