La vittoria di Trump, le purghe di Netanyahu | Salvo Ardizzone

1 month ago
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Poche ore prima che Donald Trump vincesse le elezioni presidenziali negli Stati Uniti, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha rimosso dall’incarico il ministro della Difesa Yoav Gallant e nominato il ministro degli Esteri Israel Katz come sostituito provvisorio. La presa di posizione di Netanyahu è stata pesantemente contestata da migliaia di manifestanti, scesi in piazza dietro sollecitazione del leader dell’opposizione Yair Lapid secondo cui «licenziare Gallant nel bel mezzo di una guerra è un atto di follia. Netanyahu sta vendendo la sicurezza di Israele e i soldati dell’Israeli Defense Force per la sua vergognosa sopravvivenza politica. Invito tutti i patrioti sionisti a scendere in piazza per protestare». La pressione politica a cui è sottoposto non sembra tuttavia aver paralizzato il primo ministro israeliano, che stando alle voci di corridoio raccolte dal «Times of Israel» avrebbe messo nel mirino anche il Capo di Stato Maggiore dell’Israeli Defense Force Hertzi Halevi e il direttore dello Shin Beth Ronen Bar, colpevoli al pari di Gallant di aver perorato con forza il raggiungimento di un accordo di cessate il fuoco, motivato dalla doppia necessità di favorire il recupero degli ostaggi in mano ai guerriglieri palestinesi e contenere il numero delle vittime tra le fila dell’esercito israeliano. L’emittente radiofonica di riferimento dell’Israeli Defense Force ha confermato che, soltanto nel mese di ottobre, si è registrata la morte di ben 87 israeliani, di cui 23 coloni e 64 tra ufficiali, soldati e personale di sicurezza. A livello complessivo, l’Israeli Defense Force ha riportato 777 caduti e 5.196 feriti nella guerra su più fronti di Israele contro Hamas nella Striscia di Gaza ed Hezbollah in Libano. Un numero decisamente elevato di reduci soffre per di più di disturbo post-traumatico da stress, mentre cresce il numero di riservisti che si rifiuta di tornare a combattere nella Striscia di Gaza e in Libano in assenza di progressi nelle trattative per la liberazione degli ostaggi. Va rilevato, a questo proposito, che gli inquirenti israeliani hanno messo sotto indagine uno stretto collaboratore di Netanyahu, sospettato di aver fatto trapelare documenti sensibili sulla sicurezza nell’ambito di una campagna orchestrata proprio per sabotare un’intesa finalizzata al rilascio degli ostaggi, giudicata dall’ufficio del premier israeliano suscettibile di provocare la caduta del governo. Sullo sfondo, parte significativa della popolazione israeliana muove – cosa inaudita – pesanti critiche nei confronti delle forze armate, mentre il «Wall Street Journal» e il «Financial Times» rilevano con preoccupazione l’incapacità delle basi industriali statunitense e israeliana a reggere i ritmi di consumo di missili intercettori da parte dell’Israeli Defense Force. Parliamo di tutto questo assieme a Salvo Ardizzone, saggista, consulente societario e studioso di questioni strategiche.

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