Geopolitica del caos | Alberto Bradanini

1 day ago
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Il 27 settembre, il segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, è morto in seguito a un devastante bombardamento presso il quartiere Dahiya di Beirut ad opera dell’aeronautica militare israeliana, che ha anche colpito obiettivi in territorio yemenita e siriano, oltre che nella Striscia di Gaza. Simultaneamente, le forze terrestri israeliane hanno invaso il territorio libanese nell’ambito dell’operazione Northern Arrows, riportando morti, feriti e distruzione di mezzi a seguito di una fitta serie di imboscate. L’1 ottobre, il governo di Teheran, sottoposto a forti pressioni sia interne che esterne in seguito all’assassinio del leader di Hamas Ismail Haniyeh, si è mobilitato sferrando l’Operazione True Promise-2. Nell’arco di qualche decina di minuti, dall’Iran sono partiti poco meno di duecento missili balistici contro il territorio israeliano, diversi dei quali hanno – a dispetto delle dichiarazioni di vertici di Tsahal – “bucato” le difese aeree di Tel Aviv colpendo obiettivi disseminati in tutto il Paese. Teheran ha quindi dichiarato lo stato di guerra, e messo in chiaro che le forze missilistiche nazionali bersaglieranno tutte le infrastrutture israeliane qualora Netanyahu ordini una contro-rappresaglia. Il generale Michael Kurilla, a capo del Central Command statunitense, è arrivato in Israele per coordinare, stando alla stampa israeliana, una ritorsione “commisurata” all’offesa subita. Stando alle confidenze rese al «Washington Post» dalle solite fonti anonime, Netanyahu avrebbe fornito all’amministrazione Biden assicurazioni circa l’intenzione israeliana di colpire solo ed esclusivamente obiettivi militari iraniani, evitando gli impianti nucleari e le infrastrutture petrolifere iraniane al fine di scongiurare il rischio di una guerra su vasta scala e minimizzare l’impatto sulle elezioni presidenziali statunitensi. Ad ogni modo, in attesa di sferrare la rappresaglia, Israele ha continuato a martellare il Libano, aperto il fuoco perfino contro l’Unifil, la forza di interposizione delle Nazioni Unite schierata nel Libano meridionale, ed assassinato Yahya Sinwar, uno dei vertici di Hamas considerato la “mente” dell’Operazione al-Aqsa Flood. Parliamo di tutto questo assieme ad Alberto Bradanini, ex ambasciatore d’Italia a Teheran e Pechino, saggista e presidente del Centro Studi sulla Cina Contemporanea.

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