Dal film TOLKYEN

5 days ago
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Owen Barfield (1898-1997) è un autore quasi sconosciuto in Italia. Eppure è a lui che si deve l'idea linguistica che ispirò i famosi romanzi di Clive Staples Lewis e di Tolkien. Lewis lo considerava suo "maestro non ufficiale" e Tolkien scrisse che la teoria dell'unità semantica di Barfield gli aveva fatto "mutare radicalmente l'intera concezione" del linguaggio. Da questo cambiamento nacque poi la saga della Terra di Mezzo. Ma chi era Barfield e qual è questa teoria del linguaggio?
Barfield era un compagno di studi di Lewis a Oxford e l'amicizia con l'autore delle Cronache di Narnia (ai figli di Barfield sono dedicati i primi due volumi) lo condusse, all'inizio degli anni '30, a essere uno dei principali protagonisti del circolo che si riuniva all'Eagle and Child Pub per leggere e ascoltare gli scritti inediti dei suoi partecipanti. È una delle tante affascinanti storie della letteratura: un gruppo di amici riuniti dalla passione per le letture dei miti, antichi, per il rischio dello scrivere in prima persona, per le avventure dello spirito, spesso legate al cristianesimo. Nel film “Tolkien” è narrata questa storia di ragazzi che vogliono cambiare il mondo col potere dell’Arte. Fra loro c’era anche il poeta britannico Geoffrey (Geoffrey Bache Smith, 1894-1916), grande amico di Tolkien. Furono entrambi membri del Tea Club Barrovian Society (TCBS), insieme a Rob Gilson e Christopher Wiseman.
A differenza di Tolkien e Lewis, Barfield non intraprese la difficile carriera accademica, la cui incertezza (già allora!) rendeva problematico il mantenimento della famiglia. Fece per trent'anni l'avvocato, continuando però a scrivere e a pensare (sic!) alla letteratura. Alcuni dei suoi libri, tra cui "Salvare le apparenze", ebbero nel frattempo un certo successo negli Stati Uniti e, una volta in pensione (sic!), poté dedicarsi all'insegnamento nelle università americane dove era convocato per corsi e conferenze. Anche intorno a lui crebbe una schiera, piccola ma agguerrita, di seguaci, che ripropongono oggi le sue idee, osteggiato o ignorato dal mainstream della cultura accademica.
Che cosa sostiene questa teoria "alternativa"? Innanzitutto, una particolare forma di realismo. Sostiene che l'unico modo per difendere allo stesso tempo ciò che la scienza dice e che il senso comune percepisce è quello di accettare che la conoscenza provenga da una REALTÀ DESCRITTA DALLA FISICA MA che sia percepibile attraverso rappresentazioni, cioè immagini vernacolari di idiomi linguistici, formative della nostra consapevolezza e soprattutto che siano indisgiungibili da questa. Per esempio, l'arcobaleno è fatto di piccole gocce di acqua, che la fisica spiega, ma ciò che noi vediamo è una rappresentazione reale e oggettiva, pur dipendente dall'INTERAZIONE con i nostri occhi. In tal modo, l'intera realtà dell’arcobaleno sarebbe percepita come rappresentazione attraverso la coscienza, di cui il linguaggio è segno, quindi una rappresentazione della misteriosa origine di quell’arco nel cielo. Perché quando noi vediamo qualcosa, la nostra coscienza vi è sempre implicata ed è per questo motivo che epoche diverse ebbero immagini differenti delle stesse cose. Non erano stupidi gli uomini che pensavano che il sangue portasse lo "spirito" dell'uomo, cioè l’io umano. Avevano un'altra immagine e altre parole, cioè un'altra coscienza. La realtà è data infatti sempre da due elementi: l’oggetto percepibile senza la mediazione dell’io pensante e la concettualizzazione mediata dall’io attraverso il pensare. Non si tratta di dualismo ma di monismo del pensare pre-dialettico e universalmente inteso.
Ovvio! Ma chi erano in realtà Tolkien, Geoffrey, Lewis, Barfield, Gilson, Wiseman? Erano antroposofi! Proprio quelli di cui il pianeta Terra avrebbe bisogno come esigenza sociale. Non dico che non esistono più. Esistono ancora come AGHI nel pagliaio. E pensare che una volta, nell'anno zero, erano MAGHI.

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