FIUTO ANTROPOCRATICO

3 months ago
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ovvero: BELIAL 01 (Nereo Villa sul caso Bellia e del Calunniator Frescone. Rifacimento sintetico della pagina https://nereovillaopere.wordpress.com/2022/07/06/sul-caso-bellia/ ).
Un’amica mi dice che si parla di me in FB. “Bene”, rispondo. “Ma si dice che tu hai litigato con Bellia”. “Non bene” – rispondo – e quando?”. “Questo non si dice”. “Allora si calunnia?”, domando. “Forse, non so. Tu litighi con tutti ma la litigata con Bellia non la ricordo. Forse non me ne sono accorta, comunque tu sei un litighino…”. Risate.
È venuto il momento di parlarne, quindi ho cercato nel web questa storia del mio rapporto con Nicolò Giuseppe Bellia, che da anni non è più tra i mortali ma che ringrazio di cuore per avermi fatto comprendere, di risata in risata, il suo amichevole rapporto col Padre eterno… Credo che il suo “amico Dio” sia anche amico mio e di tutti, soprattutto dei poeti, dei sognatori e dei lettori di Nina Camelia, mondo nuovo e inaspettato di artisti veri, cioè con le palle.
Il materialismo di Bellia gira ancora nel web come antroposofia della mutua o della stupidità, perché il mondo è davvero ammalato di materialismo e quindi non vede il materialismo stesso. Intendo per mondo la gente del mondo, dato che il mondo in sé, come dice la parola è mondo. La terra è dura e bassa ma in fondo è buona. Ci dà il pane se la trattiamo bene, pettinandola un po’ ogni tanto. Ma vedo che mi sto già perdendo pensando ai poeti. Quindi vengo al dunque.
Chi afferma (come Nicolò Giuseppe Bellia affermava) che bisogna avere la pancia piena per poter filosofare, pensa secondo me in modo assurdo, causale o causidico. Quando si ragiona in modo causidico, per esempio sulla stessa proposizione “prima bisogna avere la pancia piena per poter ragionare” cosa si fa? Cominciando dal fondo, si ha da questa frase come prima lettera la “e” di “ragionare”, che deriverebbe dalla “r”, poi dalla “a”, dalla “n”, “o”, ecc. In tal modo si crede di avere ogni volta l’effetto della causa che precede. La “e” è l’effetto della “r”, la “a” della precedente “n”, e la “n” della precedente “o”, e così via. Ma questo è un assurdo. Ogni lettera ha origine unicamente per il fatto che un io umano l’ha scritta, e certamente la lettera che precede non ha prodotto quella che segue. È dunque completamente assurdo dire che la lettera che precede sia la causa di quella che segue, o che quella che precede produca quella che segue. Quindi le vere cause vanno ricercate altrove dato che con la pancia, vuota o piena, due meno uno farà sempre uno. Questo per quanto riguarda il materialismo di Bellia o di chi sostiene che prima bisogna vivere e poi filosofare. Per Bellia infatti era assolutamente esatta la massima aristotelica “primum vivere, deinde philosophari”, nel senso che “prima bisogna avere la pancia piena e poi si può anche ragionare”, dimenticandosi che questa era una massima molto spuria, anzi aberrante, di un “Aristotele” arabizzato da Avicenna e da Averroè. Come dire: se non mangi, non caghi. Filosofia? Evidentemerde! (Vecchia battuta da orchestrale).
Per il resto, lo spostare il prelievo delle imposte dal reddito alla massa monetaria, come predicava Bellia, era – ed è – secondo me un errore, o tutt’al più un’impossibilità pratica. La massa monetaria non è un chilo di prugne percepibile a tutti, per cui basta prenderne il 7 o l’8 per cento da dare ai poveri.
Per entrare nella massa monetaria occorre entrare nel portafoglio della gente.
Ora, dopo il dimezzamento del valore della lira con Prodi – gli scrivevo – (fra l’altro Bellia allora affermava che con l’euro non sarebbe cambiato nulla!) e dopo l’altro dimezzamento dovuto all’euro, “farsi mettere ancora le mani nel portafoglio con l’invenzione della fiscalità monetaria” mi sembrava davvero un assurdo masochismo, un eccesso di fede nell’autorità di Pinco o di Pallino, sedicenti esperti risolutori del problema del cosiddetto debito pubblico (risolutori in contatto col Padre eterno, come diceva di sé Bellia; conservo ancora le sue esilaranti registrazioni telefoniche che voleva che io registrassi da studiare).
Perciò, visto che insisteva in una semplicità che non era un gran che semplice, “osai” chiedergli formule matematiche almeno funzionanti per esempi chiarificatori! Se le sue formule fossero state funzionanti, a quest’ora tutti le avrebbero capite, e tutti vorrebbero la sua fiscalità monetaria.
Così non è.
Non ebbi mai risposte chiare e tonde, semplicemente perché non le aveva e mai nessuno le potrà avere. Cerco di spiegare il perché.
Una distribuzione di beni, non può essere lecitamente fatta, prendendone la metà per saldare un debito truffaldino, perché un’azione non può essere fatta mediante l’agire in conformità al suo contrario. Pagare un pizzo è mafioso quanto pretenderlo. Inoltre chiamare “antropocrazia” la rappresentazione di tale agire, è antilogica: è esattamente come quando nel gioco delle tre carte si sostituisce, una carta. E in tale antilogica quel sostituire è effettuato sul piano dei contenuti concettuali, dunque un’antilogica che pone a fondamento di sé una teocrazia, creduta antropocrazia, a sua volta creduta antroposofia e procedimento democratico. Chiamare “antropocrazia” tale “cratologia” (miscuglio di machiavellismo, kantismo e tsuismo: cfr. S. Tzu, “L’arte della guerra”, Ed. Mondadori) è la medesima antilogica che fa poi porre a fondamento di una pseudo giustizia un procedimento democratico o di “democrazia informatica” o di “democrazia diretta” che dir si voglia, per addirittura elettrificare valuta, già anche troppo elettronicamente manipolata dal diritto di Stato (mafia sostituita allo Stato di diritto).
Antropocrazia è altro da Democrazia: non può chiamarsi antropocrazia un solipsismo poggiante su antilogica, anziché su universalità del pensare. Io sono antropocratico solo quando comando me stesso non i miei simili.
Pretendere consensi democratici sull’antropocrazia, o su un determinato tipo di antropocrazia è come pretendere di mettere ai voti che la somma degli angoli di un triangolo sia di 180 gradi. Ecco perché chi, come Bellia, insiste ancora così pervicacemente in questa pretesa non può che essere un solipsista. Infatti nei suoi sermoni, che Bellia credeva assolutamente scientifici, compariva prima o poi il Padre eterno…
Il termine solipsismo è appropriato in quanto, provenendo dal latino “solus” e da “ipse”, riguarda una dottrina di pensiero che sostiene l’evidenza assoluta ed esclusiva dell’io o di contenuti di coscienza. Ne deriva un idealismo soggettivo di tipo metafisico che nega la realtà del mondo esterno (mondo esterno della realtà comune a tutti), negando altresì la necessità e la possibilità di mostrarlo e/o di attingerlo come realtà (o come realtà di altri soggetti, cioè di altri io). Per tale visione metafisico-solipsistica, è perciò necessario poi il ricorso a Dio, come unico garante, dell’oggettività del conoscere. E in tale contesto di pensiero fideistico, la storia, è concepita come opera divina (oltretutto, se uno è non credente, cosa fa, si adegua?). “Ecco perché – era solito dirmi Nicolò Bellia, concludendo ciò che affermava in modo completamente arbitrario – io dico sempre che la realizzazione dell’antropocrazia dipende dalla storia, e quindi dal Padre eterno”.
Credo, pertanto, che il maggiore avversario dell’“antropocrazia di Bellia” sia stato, fino a prova contraria, Bellia stesso. Il suo comportamento infatti, era di fatto quello di un piccolo Cesare, pavido ed arrogante come in fondo è un qualsiasi dittatore (continua).

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