POSSANZA ARCANA

4 months ago
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Trasmissione del 8 luglio 2024

«Chiunque sarà il vincitore, quello che sta succedendo in Francia non si era mai visto. E basta un’espressione per riassumere lo stato d’animo di un Paese intero che affronta l’ultimo e decisivo turno delle elezioni legislative.
Prima lo choc per lo scioglimento improvviso dell’Assemblea nazionale, ora la consapevolezza che ci si prepara a una lunga fase di incertezza e instabilità: in un mese scarso si è passati dal panico per l’onda nera a un passo dal potere, alla riesumazione di un fronte repubblicano che sembrava impossibile fino al rischio ingovernabilità. Una metamorfosi velocissima in uno scenario ingessato, ma al tempo stesso in continua evoluzione.
Cosa avesse in testa davvero Emmanuel Macron quando ha deciso la sterzata più violenta di sempre, ancora nessuno è riuscito a decifrarlo. Ma passato il trauma collettivo, c’è da fare i conti con gli effetti di quella decisione. Da stasera la Francia avrà un nuovo Parlamento e, stando a tutti gli ultimi sondaggi, nessuna forza politica avrà la maggioranza assoluta.
La domanda cruciale è una: il Rassemblement National avrà i numeri per governare? Per ora, salvo sorprese, sembra di no. Nonostante una crescita esponenziale e un numero di deputati eletti che si preannuncia senza precedenti, la formazione del cosiddetto blocco repubblicano (ovvero le manovre per far votare tutti purché non siano esponenti RN) ha dato i suoi frutti.
E i numeri schiaccianti di due settimane fa, sono ora ridimensionati. La partita decisiva si gioca tutta oggi. In Francia sono possibili esecutivi sostenuti da maggioranze relative. Ma se ci saranno tre blocchi, molto distanti tra loro, qualsiasi tipo di accordo sarà molto difficile. Senza dimenticare che, prima di un anno, non sarà possibile sciogliere di nuovo l’Assemblea nazionale. A meno che a dimettersi non sia il presidente della Repubblica stesso. Insomma, il rischio più concreto è e resta l’impasse.
Chi insegue e non ha mai smesso di crederci è il fronte delle sinistre. Se qualcuno si è stupito della possibilità che, in pochi giorni, si riunissero forze che sembravano ormai molto distanti, bisogna ricordargli l’ultima sfida delle presidenziali. Ovvero, quando l’allora candidato Mélenchon non è andato al secondo turno per soli 400mila voti. Uno smacco che ha bruciato per settimane e che i militanti per primi non hanno perdonato a una sinistra allora atomizzata.
Mélenchon è stato motivo di forza, ma al tempo stesso debolezza per la coalizione: lui il primo ad annunciare il ritiro di tutti i candidati in terza posizione per creare il fronte repubblicano, è stato anche il primo ad attaccare Macron rendendo più difficile ogni accordo.
Ma il vero problema sono state le continue accuse di anti-semitismo, a causa del sostegno della sua France Insoumise alla causa palestinese. Un’accusa da sempre rispedita al mittente, ma che si è radicata in ogni dibattito ed è finita perfino sullo stesso piano della xenofobia del RN. L’insofferenza però nella coalizione, va molto oltre. E un esempio lo ha dato il candidato François Ruffin: “Abbiamo avuto tre settimane difficili perché abbiamo una palla al piede. L’avete sentita. Mélenchon, Mélenchon, Mélenchon, Mélenchon come ostacolo al voto“, ha dichiarato all’Agence France-Presse. “In zone come questa, nei quartieri popolari delle province, è bloccato”.
Le Europee, tra l’altro, hanno mostrato una nuova tendenza: se la France Insoumise ha fatto il 9%, i Socialisti (considerati più moderati) sono risuscitati al 13 per cento. E non a caso, Macron negli ultimi giorni ha lanciato la sua polpetta avvelenata: “Non entreremo mai in un governo con il partito di Mélenchon”. Mentre con tutti gli altri sì. Segno che il fronte unito della sinistra, dato molto in alto nei sondaggi, potrebbe scoppiare se dopo il voto si aprisse un dibattito sulla possibilità di entrare in governi moderati.»
(Da: M. Castigliani, Il Fatto Quotidiano, 7 luglio 2024

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