Estratto da "IL VELO È CADUTO

9 months ago
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Estratto dalla trasmissione del 19 febbraio 2024
Sergio Giraldo,la politica UE, il generatore di problemi.

"Due ambizioni rischiano di travolgere l’Europa: il Green Deal, cioè l’obiettivo di azzerare
entro il 2050 le emissioni nette di gas a effetto serra, e l’autonomia militare, cioè non essere più dipendenti dalla protezione degli Stati Uniti. Sono entrambi obiettivi irrinunciabili. In un caso perché
lasceremmo ai nostri nipoti un Pianeta in cui si rischierebbe di non poter più vivere; nell’altro perché, se Trump ritornasse alla Casa Bianca, l’Europa, che oggi spende per la propria difesa un terzo di quanto spendono gli Stati Uniti, sarebbe alla mercé di Vladimir Putin. Non rinunciare alla
transizione verde e acquisire maggiore autonomia militare non è impossibile ma richiede volontà politica e soprattutto un bilancio europeo comune, cioè richiede di fare ciò che fecero due secoli fa gli Stati Uniti d’America. Finora questa prospettiva era un’utopia. Oggi, grazie a Putin e alla paura di diventare suoi sudditi, potrebbe essere un sogno realizzabile. Spinta da tanti giovani ovunque nel mondo, la Commissione europea si era convinta che arrestare il surriscaldamento del Pianeta fosse una scelta inevitabile. Ma non si è chiesta quanti, a causa del Green Deal, potrebbero perdere il lavoro nella transizione da qui al 2050, né che fare per proteggerli. Stiamo compiendo un
salto in avanti che rischia di essere fermato dai cittadini. Lo si è visto nelle elezioni olandesi, nelle proteste degli agricoltori. l risultato è che il Parlamento europeo ha fortemente indebolito le norme sui pesticidi, sulle emissioni di CO2 negli allevamenti bovini, sugli imballaggi, ha votato di ritardare la data del 2050 e Ursula von der Leyen ha riconosciuto che il progetto di transizione verde dovrà essere ripensato. Ma possiamo permetterci di tradire l’impegno di lasciare ai nostri nipoti un pianeta vivibile? L’Europa sembra essere in un vicolo cieco. Se persegue le sue ambizioni, quelle
verdi in primo luogo, verrà fermata dagli elettori. Se vi rinuncia, anche questa Commissione passerà alla storia come quella che non ha saputo resistere alle lobby degli agricoltori, delle case automobilistiche e dei cementieri. Lo stesso vale per la difesa: se non facciamo un salto, e possiamo farlo solo creando un esercito comune, rischiamo di essere sopraffatti dall’esterno, da Putin o dal terrorismo islamico. Non è solo il bilancio dell’Ue, troppo piccolo, è anche la mancanza di cooperazione tra Stati membri che non ci consente di essere militarmente autonomi. Circa l’80% degli appalti pubblici e il 90% della ricerca e delle tecnologie nel settore della difesa sono gestiti a livello nazionale, con costose duplicazioni. Un Fondo europeo per la difesa fu creato nel 2021, ma per i sei anni dal 2021 al 2027 il Fondo dispone solo di 8 miliardi di euro. Il Pentagono spende circa 700 miliardi di dollari l’anno di cui circa 150 in ricerca e sviluppo. È improbabile che un esercito comune sarebbe oggi accettato dai governi: pensate che Macron rinunci alla «force de frappe » di Parigi? Ma i cittadini sembrano più lungimiranti. L’ultima indagine di Eurobarometro
ci dice che il 77% degli europei è a favore di una politica di difesa e di sicurezza comune. L’80% ritiene che andrebbe rafforzata la cooperazione in materia di difesa a livello Ue; il 77% ritiene che l’acquisto di attrezzature militari da parte degli Stati membri dovrebbe essere coordinato; il 69% auspica che l’Ue rafforzi la sua capacità di produrre materiale militare e il 66% afferma che dovrebbero essere destinati più fondi per la difesa nell’Ue. Oggi i cittadini più ricchi, quelli che
possono permettersi di guardare al futuro dei loro nipoti, si rendono conto che la transizione verde è necessaria. Ma la maggioranza teme che i costi ricadrebbero tutti su di loro. In altre parole, il problema è che i benefici andranno tutti alle generazioni future, mentre i costi verranno
sopportati dalla generazione alla quale appartengono gli elettori di oggi. Non è sorprendente che l’atteggiamento verso il Green Deal stia rapidamente cambiando. C’è un modo per allineare costi e benefici, evitando che la generazione che oggi vota abbia solo da sopportare dei costi, e che i
benefici vadano solo a chi non è ancora nato? Il debito pubblico può riallineare costi e benefici.
Siamo soliti pensare al debito come un onere scaricato sui giovani di domani. Non è necessariamente così. C’è un’altra funzione del debito: si può, ad esempio, emettere debito per proteggere chi, per colpa del Green Deal, perde il lavoro. Con quel debito si finanziano sussidi di disoccupazione e attività di riqualificazione dei lavoratori, un’esperienza che la Commissione europea ha già fatto con il fondo Sure varato per proteggere i lavoratori che avevano perso il posto durante la pandemia. Così si compensano gli elettori di oggi. Quelli di domani dovranno ripagare
il debito che oggi si emette, ma godranno i benefici di un ambiente vivibile e, nel caso della difesa, di un Continente libero. È però uno scambio che nessun Paese europeo, da solo, può organizzare perché i singoli Paesi, anche la Germania, sono troppo piccoli per collocare sul mercato la massa di titoli pubblici che sarebbe necessario emettere. La soluzione è emettere debito europeo comune, come si è fatto durante la pandemia, per Sure e per Next Generation Eu (Ngeu), cioè titoli emessi dall’Ue ma garantiti da tutti i Paesi membri. Lo hanno appena fatto gli Stati Uniti, un Paese
la cui popolazione è inferiore a quella dell’Ue: 330 milioni di cittadini contro i nostri 450. L’Inflation Reduction Act (Ira) del presidente Biden (che nonostante il nome non ha nulla a che fare con l’inflazione) comporta maggior debito per un trilione di dollari, una volta e mezza l’investimento previsto dal Ngeu. Un Ira europeo dovrebbe valere come almeno due Ngeu. Dal punto di vista dei mercati sono dimensioni possibili: i risparmiatori di tutti i Paesi ricchi abbastanza per risparmiare
sono costantemente alla ricerca di titoli sicuri nei quali investire, come lo sono i titoli emessi dal governo degli Stati Uniti e come lo sarebbero i titoli dell’Ue. La domanda quindi c’è, ciò che manca, in Europa, è la volontà politica di emettere tanto debito comune. Forse oggi questo sta cambiando".
(Giavazzi, corriere della Sera, 18 ott 2024)

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