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Trasmissione del 5 febbraio 2024
Mentre negli Stati Uniti Esg è diventato un acronimo la cui pronuncia è quasi vietata, si avvicina a grandi passi, proveniente da Bruxelles, un altro adempimento, che somiglia all’ennesimo balzello sotto mentite spoglie, per le nostre imprese: il report di sostenibilità rispetto ai fattori Esg (ambiente, sociale e governo societario).
Il pallino è nelle mani della Commissione Politiche Ue del Senato – che ha avviato il 22 dicembre l’esame del testo già approvato dalla Camera della legge di delegazione europea 2022-2023.
L’esame degli emendamenti è cominciato mercoledì 24 con l’esito prevedibile di vederli tutti accantonati o respinti. A Palazzo Madama non c’è alcuna voglia di modificare alcunché per mandare il testo in terza lettura a Montecitorio.
Il timore è che un eventuale allungamento dei tempi possa indurre l’Unione europea ad aprire procedure di infrazione nei confronti dell’Italia per mancata attuazione delle direttive che intanto sono giunte a scadenza.
La direttiva che qui ci interessa è la 2022/2464 (Corporate Sustainability Reporting Directive), di cui si occupa l’articolo 13 del Ddl, per stabilire i principi e criteri direttivi specifici che guideranno il governo nel recepimento e nella stesura del decreto legislativo che disciplinerà questo nuovo obbligo per le imprese.Tale decreto attuativo, come annunciato qualche giorno fa dal dirigente del Mef, Stefano Cappiello, sarà reso disponibile in consultazione agli operatori interessati.
Poiché la delega deve essere esercitata dal governo entro il 6 marzo 2024, quattro mesi prima della scadenza del termine per il recepimento, nel nostro caso fissato dalla UE al 6 luglio 2024, il Senato deve fare in fretta, perché poi il governo avrà tempi ristrettissimi per scrivere i decreti delegati.
La rendicontazione diversa da quella finanziaria non nasce con questa direttiva, ma esiste dal 2016. La novità prevista per i prossimi anni – con un calendario graduale – è quella di estendere la platea delle imprese interessate e allargare la massa di informazioni da fornire, con specifica attenzione ai fattori Esg. Le imprese coinvolte a livello Ue dovrebbero passare da 11.700 a 49.000 di cui circa 4.000 soltanto in Italia. Oltre alle imprese pubbliche e a tutte le quotate sui mercati regolamentati, anche PMI in quest’ultimo caso, saranno coinvolte (dai bilanci dell’anno 2025) anche le grandi imprese non quotate. Basterà superare due su tre soglie dimensionali – 20 milioni di attivo, 40 milioni di fatturato e 250 dipendenti – e l’adempimento scatterà. Soglie che rimandano a dimensioni aziendali non proprio di una multinazionale, ma che coinvolgono la spina dorsale del nostro tessuto produttivo.
La legge ormai in dirittura d’arrivo al Senato fornisce al governo – nel ruolo di legislatore delegato – la possibilità di “esercitare, ove ritenuto opportuno, le opzioni normative previste dalla direttiva 2022/2464, tenendo conto delle caratteristiche e delle peculiarità del contesto nazionale di riferimento, dei benefici e degli oneri sottesi alle suddette opzioni, della necessità di garantire la tutela dei destinatari di tali informazioni di sostenibilità, nonché l’integrità e la qualità dei servizi di attestazione della conformità della rendicontazione di sostenibilità, tenuto conto anche della fase di prima applicazione della nuova disciplina”.
Si fatica a trovare l’utilità di tale adempimento. Interessa i consumatori? No, a meno di immaginare la “casalinga di Voghera” intenta a spulciare i report di sostenibilità prima di andare a fare la spesa. Interessa gli investitori? Nemmeno, perché l’illusione di un trattamento preferenziale per le imprese più sensibili ai fattori Esg è svanita nel nulla. Come certificano i dati in arriva da Regno Unito e Usa, che hanno ricevuto ampio risalto sul Wall Street Journal e sul Financial Times.
Tali e tanti sono i dubbi e i mal di pancia tra le imprese che proprio mercoledì l’Europarlamento ha approvato una proposta della Commissione per ritardare di altri 2 anni l’applicazione di 8 standard settoriali di rendicontazione. Si tratta dei nuovi standard europei di rendicontazione della sostenibilità (“Esrs”), che si articolano in due standard “trasversali” (o cross cutting), cinque standard ambientali, quattro standard sociali e uno standard di governance. Un percorso di guerra.
Allora – in ossequio alla massima secondo cui se una cosa non serve a nulla, allora serve a qualcos’altro – questo ennesimo carico burocratico europeo servirà per una “torsione ideologica” della finalità e della gestione d’impresa. Non basterà più osservare le leggi, bisognerà anche spiegare cosa si fa per salvare il pianeta, salvo non esserci alcuna relazione causa effetto tra le azioni e i risultati. Roba da far sfigurare Orwell.
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