BREVE PRESENTAZIONE DI ME STESSO - “IO SONO SOLO UN POVERO CADETTO DI GUASCOGNA, PERÒ NON LA SOPPORTO LA GENTE CHE NON SOGNA...”😇💖👍

1 year ago
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#PREGHIERINA SERALE#
"Mammina Santa,
Mammina Nostra,
facci scendere presto
da questa giostra.
È stata una giostra
troppo lunga e amara,
e GIORGIA MELONI È SOLO
UN'ALTRA BORGATARA!!
Una in più - non sembri strano -
di cui è pieno il Parlamento italiano".
“QUANDO CREDERÀ DI AVERE TUTTO TRA LE MANI, GLI STRAPPERÒ LA PREDA” (Nostra Signora di Fatima)🙏
UMBERTO FORTUNATI:
-https://www.ibs.it/piccola-eternita-libro-umberto-fortunati/e/9788848820967

"IL CONTROLLO ININTERROTTO" (ANNO 2006)

(Note a margine della riforma del Titolo V della Costituzione - di Umberto Fortunati, Direttore amministrativo, Vice responsabile del Servizio per le Riforme Istituzionali presso il Dipartimento per gli Affari Regionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri)

- oOo -

Le note vicende relative allo Statuto della Regione Umbria (legge regionale n. 21/2005), costituiscono una buona sintesi, forse anche a livello di statistica, delle caratteristiche che il controllo governativo sulle leggi regionali và assumendo, via via, nel periodo che stiamo faticosamente attraversando ed offrono quindi lo spunto per alcune riflessioni.

Definito come l’alba del federalismo, l’inizio di un’epoca nuova, una vera e propria rivoluzione copernicana, il nuovo Titolo V della Costituzione pare aver invece prevalentemente offerto spunti per preoccupanti ritorni verso un passato ormai abbondantemente lasciato alle spalle, allorché alle Regioni non era data, come primaria, alcuna competenza residuale e quando tutto spettava loro, nella migliore delle ipotesi, a titolo di mera competenza concorrente.

Già qualche anno fa, allorché si era agli esordi dell’attuale Governo, le Regioni ebbero a farsi valere, per bocca dell’allora Presidente della Conferenza dei Presidenti, Enzo Ghigo, il quale scrisse, in una lettera di vibrata protesta indirizzata al Ministro competente, che alcune delle questioni che il Governo sollevava innanzi alla Corte Costituzionale, presumendo inesistenti illegittimità nei confronti delle leggi regionali, non si sarebbero potute porre neanche se fosse risultato ancora vigente il vecchio ordinamento.
Ma tant’è…

Impavido il Governo continuò a sollevare obiezioni su obiezioni, risultando inevitabilmente ed assai spesso sconfitto, nelle sue pretese, dinanzi al giudizio della Corte.

E si va dai rilievi, ripetuti quasi con “effetto fotocopia”, con sommaria quanto poco puntuale esposizione dei fatti giuridicamente rilevanti, riguardo il preteso contrasto dei poteri sostitutivi regionali nei confronti degli enti locali, con il disposto dell’articolo 120 della Costituzione (norma che ha invece ben altro significato, come anche un estemporaneo lettore ben potrebbe comprendere), all’attività internazionale, consentita a titolo di competenza concorrente e dunque non soggetta ad alcun preventivo intervento del legislatore statale, visto che i principi possono e, anzi, debbono trarsi dalla legislazione vigente, come più volte affermato dalla Corte, e fin da quando si trattò, con il vecchio ordinamento, di tracciare il confine entro il quale le Regioni potessero muoversi nell’esercizio della predetta potestà concorrente.

E, tutto questo, per la semplice e nota considerazione, secondo cui non si può, nell’inerzia del legislatore statale, paralizzare l’attività (legislativa e non) regionale in una materia sicuramente spettante, per quanto solo a titolo concorrente.

Ma non basta; in fondo questi sarebbero solo due casi, anche se su questi argomenti si è insistito a iosa, anche quando si era ormai dimostrata la ragione (o il torto) al di là di ogni ragionevole dubbio.

Una delle perle che merita di essere ricordata è il caso in cui, con riferimento alla competenza esclusiva dello Stato in materia di ordine e sicurezza pubblica (e il significato di tale locuzione è noto a tutti gli addetti ai lavori) si volle denunciare per illegittimità costituzionale alcune leggi regionali che disponevano in ordine alla sicurezza di taluni impianti.

I giudici della Corte forse addirittura sorrisero, nel rigettare la questione, ma il Governo, non pago, ne prospettò altre del tutto analoghe, sortendo naturalmente analoghi pronunciamenti negativi.

Non si contano, poi, i casi in cui la Corte si è astenuta dal decidere e non perché, in astratto, la questione non potesse ritenersi fondata, ma solo perché risultava mal posta o insufficientemente motivata, con un richiamo generico a Testi Unici e non ad una disposizione particolare, come è opportuno fare, soprattutto quando le questioni non si pongano davanti al magistrato del paesello.

Insomma pare un po’ la strategia del “vorrei ma non posso”, o meglio non trovo (pur nella enciclopedica preparazione che contraddistingue i consulenti governativi), argomenti validi e quindi butto giù qualcosa, così come mi viene, tra una partita a carte con gli amici e un tuffo nel mare di Fregene. In altre parole: “Ci provo.”

Ma, a parte l’ironia, questi ultimi casi sembrano ancor più preoccupanti e viene un dubbio: se la questione, invece di essere buttata giù in malo modo fosse stata ben sostenuta sotto il profilo argomentativo, non si sarebbe forse arrivati ad un giudizio di fondatezza? Difendendo quindi con successo, in tale ipotesi, interessi rilevanti per il Paese e per tutta la Comunità?

Ma è finita qui? No signori! Altri casi hanno visto il Governo addirittura ignorare del tutto direttive e disposizioni comunitarie, perfettamente in linea con le leggi regionali da esaminare, e censurare invece le stesse leggi regionali con riferimento a disposizioni statali ormai del tutto superate dalle norme comunitarie.

Non pochi, poi, i casi in cui una legge regionale esordisce richiamando, nelle proprie premesse, l’ambito in cui intende muoversi, e dunque, quasi in un eccesso di
“zelo normativo”, le norme costituzionali in base alle quali è attribuita la competenza a legiferare, quali limiti alla propria azione.

Pare evidente che, nella lettura delle altre disposizioni si dovrà sempre optare, in caso di incertezza, per una interpretazione rispettosa del disegno voluto dal costituente, a meno che la legge stessa non esprima poi, in modo chiaro, una opzione palesemente contraria.

E invece? E invece no!

Accade di leggere, nelle prime righe di numerose leggi regionali, il richiamo al rispetto dei su riferiti sommi principi e di annotare poi, nel ricorso governativo, che quella stessa legge regionale viola apertamente quei principi medesimi.

Che una norma vada letta e interpretata, ove possibile (e tenendo precipuamente conto del suo tenore letterale) “secundum constitutionem” e non “contra”, è un fatto del tutto pacifico. Ma, viene da chiedersi: “Per chi?”

Esemplare, al riguardo, la disposizione contenuta nell’articolo 3 della legge regionale dell’Umbria n. 17/2003, secondo cui “il calendario venatorio, ove ricorrano le condizioni di cui all’articolo 18, comma 2, della legge 11 febbraio 1992, n. 157, può consentire il prelievo venatorio di determinate specie dal primo giorno utile di settembre, stabilendone le modalità”.

Su cosa si è fondato, in questo caso il ricorso governativo, ovviamente respinto dalla Corte? Proprio sulla pretesa violazione dell’articolo 18, comma 2 della legge statale 11 febbraio 1992, n. 157, puntualmente richiamato dalla Regione nella stessa norma impugnata. Si fatica a crederlo ma è così…
Più che come un ricorso alla Corte (ci si consenta l’ironia) il gravame in questione si sarebbe forse dovuto trattare come un caso di ubriachezza, con tutte le conseguenze del caso.

E, alla fine del discorso, pare comunque doveroso, soprattutto, domandarsi a chi giova tutto questo. Al Governo? Francamente non ne siamo convinti. Alle Regioni? Meno che mai. E allora? Forse, ma è solo una ipotesi, a chi vuole introdurre, nel procedimento di controllo, camere di conciliazione ed altri simili istituti mutuati dall’ordinamento civile?

Forse su questo è bene lasciare il discorso sospeso.

E’ infatti utile parlare di principi e di regole, ma è meglio ignorare persone e poltrone.

E, soprattutto, occorre ignorare le poltrone le quali infatti, come è noto, sono ottuse e quindi assai spesso non distinguono i talenti dei sederi che vi si poggiano.

Ma veniamo adesso allo Statuto della Regione Umbria, che risulta anche statisticamente significativo di come pare vadano le cose: la prima (anzi, le prime) questioni di costituzionalità furono sollevate nel settembre del 2004 ed investivano numerose delle sue disposizioni. Le questioni sollevate infatti dal Governo erano ben cinque.

La Corte, con la sentenza n. 378 del 29 novembre 2004, depositata in Cancelleria il 6 dicembre 2004, ha dichiarato:

l’illegittimità costituzionale dell’art. 66, commi 1 e 2, 3, della predetta delibera statutaria della Regione Umbria;
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 2, della predetta delibera statutaria, per violazione degli artt. 2, 5, 29, 117, secondo comma, lettera l), e 123 Cost., proposte con il ricorso n. 88 del 2004;

non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 39, comma 2, della predetta delibera statutaria, per violazione degli artt. 121 e 117 Cost., proposte con il ricorso n. 88 del 2004;

non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 40 della predetta delibera statutaria, per violazione dell’art. 121 Cost. e del principio di separazione dei poteri, proposte con il ricorso n. 88 del 2004;

non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 82 della predetta delibera statutaria, per violazione degli artt. 121 e 134 Cost. proposte con il ricorso n. 88 del 2004.

Ci si chiederà: perché si tratta di un caso rilevante anche per i suoi profili statistici? La risposta è semplice. Si tratta, in sintesi, della “summa” dei casi in cui il Governo ha riportato un successo nei giudizi dallo stesso instaurato innanzi alla Corte, per cui si potrebbe dire che, su cento questioni poste, venti risultano fondate, sessanta infondate e venti inammissibili.

Ma, con riferimento alla questione fondata, è bene, nel caso di specie, approfondire perché ciò aiuta, forse, ad affinare la statistica degli eclatanti successi governativi.
Infatti l’articolo 66 dello Statuto umbro non è illegittimo nella sua sostanza, ci dice la Corte, poiché ben a ragione una legge regionale potrebbe contenere una disposizione siffatta.

L’illegittimità risiede semplicemente nel fatto che una disposizione come quella di cui all’articolo menzionato non poteva essere contenuta nello Statuto, in quanto materia riservata, dalla nostra Costituzione, alla legge regionale, per così dire “ordinaria” (la Costituzione dice, all’articolo 122: “…con legge della Regione…”, mentre il successivo articolo 123 riguarda gli Statuti, norme speciali, da approvare con una particolare procedura).

Non vi è, pertanto, una illegittimità di contenuto, ma solo una impropria collocazione della norma, che mai e poi mai poteva essere inserita in uno Statuto.

Va sottolineato, considerata la premessa, che non si comprende per quali motivi il Governo abbia omesso, ad esempio, di impugnare innanzi alla Corte analoga disposizione contenuta nell'articolo 35, comma 3 dello Statuto della Regione Toscana.

A questo punto, comunque, le cose si complicano: non è infatti chiaro (la Costituzione non lo dice) cosa occorra fare nel caso in cui lo Statuto sia dichiarato solo parzialmente incostituzionale e dunque solo alcune sue disposizioni (in questo caso l’articolo 66) siano caducate da una sentenza della Corte.

E’ chiaro, per contro, cosa accade nel caso in cui tale incidente occorra ad una legge dello Stato. La legge rimane pienamente in vigore, a parte che per quanto concerne le norme dichiarate illegittime. Il caso è analogo? O è una analogia che non regge? Questo ancora non si sa.
Sta di fatto che la parola torna al Parlamento nazionale solo se esso ritiene di prendere in mano la questione e una legge statale rimane tale, pur dopo l’effetto demolitorio di parte di essa a seguito di una sentenza della Corte.

Né alcuno si sognerebbe di dire che l’avvenuta declaratoria di incostituzionalità di una norma statale contenuta, ad esempio, in una legge-quadro, richieda - a pena della inoperatività di quanto rimane - che la legge-quadro nel suo complesso sia successivamente riesaminata e riapprovata dal Parlamento.

E, purtuttavia, certamente il Parlamento aveva a suo tempo approvato anche la norma dichiarata incostituzionale, e dunque un testo diverso rispetto a quello che ci si trova infine ad applicare, e tutto ciò potrebbe anche apparire come un fatto in palese contrasto con la sovranità popolare a suo tempo espressa.

Tutti sanno, però, che la parola torna al popolo (al Parlamento) solo se esso ritiene di occuparsi della questione e la legge statale, per ciò che non risulta cassato dalla Corte, rimane vigente e pienamente operativa senza alcuna altra formalità.

E poi, ricordiamolo, l’articolo 136 della Costituzione dispone che:

“Quando la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma di legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”.

“La decisione della Corte è pubblicata e comunicata alle Camere ed ai Consigli regionali interessati, affinché, ove lo ritengano necessario, provvedano nelle forme costituzionali”.

In fondo, forse, è un po’ come si diceva, considerato che la norma costituzionale recita: “…ove lo ritengano necessario…”
Così potrebbe aver argomentato, tra sé e sé, la Regione Umbria, considerato anche che il controllo è ormai “successivo” e che, come si è detto, l’effetto di una sentenza della Corte su una legge statale, impugnata da una qualsivoglia Regione, non ha certo come effetto, in caso di accoglimento del gravame (articolo 136 citato) un nuovo passaggio alle Camere della intera legge.

Peccato però, per la Regione Umbria, che proprio con riferimento alle leggi statutarie, sin dal 2002, la Corte abbia già detto che le cose stanno diversamente. La sentenza n. 304/2002, ha infatti chiarito che “…ragioni di coerenza sistematica inducono a negare che il valore della legge regionale sia in tutto assimilabile a quello degli statuti regionali… Pieno riconoscimento di autonomia statutaria e controllo preventivo di legittimità costituzionale rappresentavano, nel sistema della legge costituzionale n. 1 del 1999, un binomio inscindibile, che la successiva modificazione del trattamento delle leggi regionali non ha minimamente scalfito e che conserva la sua autonoma ragion d’essere, anche dopo l’ampia revisione del Titolo V della Parte II e la connessa modificazione del regime di impugnazione delle leggi regionali.”

Dunque il controllo sugli statuti regionali era e rimane preventivo (legge costituzionale n. 1 del 1999), pur a fronte del successivamente riformato quadro costituzionale (legge costituzionale n. 3/2001). Pertanto, a seguito di una sentenza della Corte riguardante un qualsivoglia Statuto regionale, sentenza che accolga anche solo parzialmente il gravame, non ci si trova, forse, dinanzi ad un atto che abbia “forza di legge”, secondo il tenore dell'articolo 136 della Costituzione.

Sarà interessante leggere, in questo contesto, quali saranno le obiezioni della Regione al ricorso da ultimo presentato dal Governo.

Si rammenta comunque, a puro scopo esemplificativo, che per quanto concerne, ad esempio, i bilanci regionali, vigeva, in tempi il cui il controllo sulle
leggi regionali era certamente di carattere preventivo, la regola del rinvio parziale, e ciò al fine di non paralizzare, per uno o due rilievi, l’intero bilancio, che poteva essere pubblicato ed entrare in vigore, tranne che per le parti censurate.

E la Regione infatti, dopo aver comunicato, con pubblicazione sul proprio Bollettino Ufficiale, della intervenuta sentenza, ed avendo fatto trascorrere i rituali tre mesi per la possibile richiesta di referendum, ha proceduto alla pubblicazione del proprio Statuto, precisando che l’articolo 66 doveva considerarsi caducato dalla sentenza della Corte.

A questo punto, è storia recente, il Governo impugna nuovamente lo Statuto della Regione Umbria, per contrasto con le disposizioni costituzionali che disciplinano la produzione delle norme statutarie, senza peraltro fare, nel ricorso, alcun cenno alla citata sentenza n. 304/2002.

Comunque, argomenta il Governo, occorre a questo punto un nuovo passaggio in Consiglio regionale (anzi due passaggi, a distanza non minore di due mesi) ed una riapprovazione ex novo dell’intero corpo normativo.

Evidentemente la Regione non ha seguito questa strada, che rischiava di mettere a rischio tutto il proprio Statuto, riaprendo discussioni ormai concluse, ed ha preferito mettere in salvo il salvabile, cioè tutto ciò (ed è la magna pars) che la Corte ha reputato legittimo.

Scelta opinabile, anzi errata, sostiene il Governo. Ed ora attendiamo che la Corte, con la indiscutibile lungimiranza e sensibilità che la contraddistinguono, si pronunci al riguardo.

Nel frattempo viene da chiedersi, anche alla luce di questo caso recente, se il controllo, nel periodo in cui vigeva l’ordinamento precedente alla riforma del Titolo
V, non fosse svolto con criteri di maggiore elasticità e sensibilità politica considerato che, per motivi di pura e semplice opportunità (e la operatività dei nuovi statuti costituisce uno dei cardini della riforma), poteva essere tranquillamente tralasciata la promozione di una questione di stretta legittimità.

E ciò soprattutto nella ipotesi in cui non si trattasse di una illegittimità sostanziale, riguardando nel caso di specie una norma che non era di per se illegittima, ma che semplicemente risultava mal collocata.

Viene poi da chiedersi, nella fase attuale, quale bene supremo dell’ordinamento si è inteso tutelare, impedendo nuovamente allo Statuto della Regione Umbria, stavolta privato di una norma che… non poteva contenere…, di divenire finalmente operativo.

Il caso pare comunque esemplare e spiega in che modo, da una questione forse non molto seria (considerato anche il citato precedente, relativo allo Statuto della Regione Toscana), a suo tempo sostenuta assieme a tre infondate e ad una inammissibile, si possa farne scaturire una semiseria.

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Nota: la Corte Costituzionale, con sentenza n. 469/2005 ha giudicato inammissibile la questione posta dal Governo.

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