Chi è Phanes nella mitologia greca orfica? DOCUMENTARIO ecco questo è il culto massonico basato sul politeismo greco e il culto di Saturno ovviamente e non centra niente con il cristianesimo e con Gesù Cristo come dimostrato

2 years ago
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gli stessi concetti di questa cosa che sono stronzate vengono detti anche nello zurvanismo che non è lo zoroastrismo di cui ho già fatto video a parte ma anche su questo ne avevo già parlato devo cercare il video..da queste robe vengono le frasi di Pike ma sono tutte cialtronate ovviamente perchè i greci quando invadevano i popoli nel medio oriente imponevano poi la loro cultura ai popoli sottomessi come anche agli ebrei,vi ricordo che Baal Hammon cartaginese era stato associato al Saturno romano e al Crono greco,quindi è il culto di Baal o Amon egizio etc ma è un politeismo e soprattutto questo Phanes non è il Dio della Bibbia..https://rumble.com/vvcato-video-riassuntivo-sui-culti-pagani-dei-morti-di-padre-tempo-crono-saturno-e.html?mref=rljsx&mc=e5yiv https://rumble.com/v1zveu6-cilindri-e-antenne-egiziepiramidoterapiagenesabiotensorpotere-antico-video-.html?mref=rljsx&mc=e5yiv questo sarà un altro nome di Satana travestito da angelo di luce ovviamente...Phanes o Fanes, (in greco antico: Φάνης, Phánēs, «luce»), chiamato anche Protogono ("il primo nato") e Erikepaios ("donatore di vita"), era una divinità primigenia della procreazione e dell'origine della vita nella cosmogonia orfica
https://it.wikipedia.org/wiki/Phanes
Emerso agli albori dell'universo dall'uovo cosmico deposto da Chronos (il Tempo) e Ananke (la Necessità), quale principio primo ed unico, da esso si generò tutto, o si rigenerò tutto.

Phanes fu il primo re dell'universo, finché, disinteressato al dominio (perché era già "tutto"), passò lo scettro a sua figlia Notte, che a sua volta lo cedette a Urano[3][1].

Un mito ricorrente è che Zeus dovette inghiottire Phanes per acquisirne il potere cosmico e diventare definitivamente il nuovo re dell'universo, pertanto è talvolta associato a Meti[4]. Quale potenza creatrice e dio primigenio, dalle ali d'oro, veniva anche equiparato ad Eros. Si rivelò al cosmo grazie alla splendore della luce, che emanava (da cui deriva il suo nome) con le sembianze di un bel giovane, con quattro occhi, e dalle ali d'oro, sebbene normalmente si celasse agli dei stessi, invisibile o standosene ai limiti del creato. Talvolta, richiamando il mito orfico della generazione dell'uovo cosmico, veniva rappresentato avvolto da spire di serpente e con tre teste (ariete, toro e leone) o più di animali che emergevano dal suo busto

Phanes /ˈ feɪˌ n iːz/ (greco antico: Φάνης, romanizzato: Phánēs, genitivo Φάνητος) o Protogono /proʊˈtɒɡ ə nə s/ (in greco antico: Πρωτογόνος, romanizzato: Prōtogónos, lett. "primogenito") era la mistica divinità primordiale della procreazione e della generazione di nuova vita, che fu introdotta nella mitologia greca dalla tradizione orfica; altri nomi per questo concetto orfico greco classico includevano Ericapaeus /ˌɛrɪk ə ˈpiːəs/ (greco antico: Ἠρικαπαῖος/Ἠρικεπαῖος, romanizzato: Ērikapaîos/Ērikepaîos, lett. 'potere') e Metis ("pensiero").
https://en.wikipedia.org/wiki/Phanes
Cosmogonia orfica
Nella cosmogonia orfica, Phanes è spesso equiparato a Eros o Mitra, ed è stato raffigurato come una divinità che emerge da un uovo cosmico, intrecciato con un serpente. Aveva un elmo e aveva ali larghe e dorate. La cosmogonia orfica è molto diversa dalle saghe della creazione offerte da Omero ed Esiodo. Gli studiosi hanno suggerito che l'orfismo è "non-greco" anche "asiatico" nella concezione, a causa del suo dualismo intrinseco. [3]

Si dice che Chronos (Tempo) abbia creato l'uovo d'argento dell'universo, da cui è scoppiata la divinità primogenita Phanes, o Phanes-Dionysus. [4] Phanes era un dio maschile, in un inno orfico originale è nominato come "Lord Priapos"[5] anche se altri lo considerano androgino. [2] Phanes era una divinità della luce e della bontà, il cui nome significava "portare luce" o "brillare"; [6][7] Divinità primogenita, emerse dall'abisso e diede vita all'universo. [7] Nyx (Notte) è variamente detta figlia di Phanes[4] o moglie maggiore, è la controparte femminile di Phanes, ed è considerata da Aristofane come la prima divinità. Secondo Aristofane,[8] in una commedia in cui Phanes è chiamato "Eros", Phanes nacque da un uovo creato dalla prima divinità Nyx e posto nel grembo sconfinato di Erebus, dopo di che si accoppia con Chaos e crea le creature volanti. [8][a]

Molti fili di miti precedenti sono evidenti nella nuova tradizione. [chiarimento necessario] Si credeva che Phanes fosse nato dall'Uovo del Mondo di Chronos (Tempo) e Ananke (Necessità o Destino) o Nyx sotto forma di uccello nero e vento. Sua moglie Nyx lo chiamava Protogenus. Mentre creava la notte, Phanes creava il giorno e inventava anche il metodo di creazione mescolandosi. Fu fatto il sovrano delle divinità. Questa nuova tradizione orfica afferma che Phanes passò lo scettro a Nyx; Nyx in seguito diede lo scettro a suo figlio Ouranos; Crono prese lo scettro da suo padre Ouranos; e infine lo scettro tenuto da Crono fu sequestrato da Zeus, che lo detiene attualmente. Alcuni miti orfici suggeriscono che Zeus intenda passare lo scettro a Dioniso.

Protogonos Teogonia
La "Teogonia di Protogonos" è conosciuta attraverso il commentario nel papiro di Derveni e riferimenti in Empedocle e Pindaro.

Secondo Damascio, Phanes fu il primo dio "esprimibile e accettabile alle orecchie umane" ("πρώτης ητόν τι ἐχούσης καὶ σύμμετρον πρὸς ἀνθρώπων ἀκοάς"). [9]

Un altro inno orfico afferma:[5]

Hai disperso la nebbia scura che giaceva davanti ai tuoi occhi e, sbattendo le ali, hai girato attorno, e in tutto questo mondo hai portato luce pura. Per questo ti chiamo Phanes, ti chiamo Lord Priapos, ti chiamo scintillante[10] con gli occhi luminosi.
ὄσσων ὃς σκοτόεσσαν ἀπημαύρωσας ὁμίχλην πάντη δινηθεὶς πτερύγων ῥιπαῖς κατὰ κόσμον λαμπρὸν ἄγων φάος ἁγνόν , ἀφ ' οὗ σε Φάνητα κικλήσκω ἠδὲ Πρίηπον ἄνακτα καὶ Ἀνταύγην ἑλίκωπον.

Il Papiro Derveni si riferisce a Phanes:

Del re primogenito, il reverendo; e su di lui crebbero tutti gli immortali, gli dèi e le dee benedetti e i fiumi e le belle sorgenti e tutto il resto che era poi nato; e lui stesso divenne l'unico". [11]
Πρωτογόνου βασιλέως αἰδοίου∙ τῶι δ' ἄρα πάντες ἀθάνατοι προσέφυν μάκαρες θεοὶ ἠδ̣ὲ θέαιναι καὶ ποταμοὶ καὶ κρῆναι ἐπήρατιο ἄλλα τε πάντα, ἅ̣σσα τότ' ἦγγεγαῶτ', αὐτὸς δ' ἄρα μοῦνος ἔγεντο.

Dioniso o Zagreo della tradizione orfica è intimamente legato a Protogonos. Nell'Inno orfico 30, gli viene data una lista di epiteti che alludono anche a Protogonos:

"πρωτόγονον, διφυῆ, τρίγονον, Βακχεῖον ἄνακτα, ἄγριον, ἄρρητον, κρύφιον, δικέρωτα, δίμορφον"[12]
πρωτόγονον

primordiale

διφυῆ

binaturale

τρίγονον

tre volte nati

Βακχεῖον ἄνακτα

Signore bacchico

ἄγριον

selvaggio

ἄρρητον

ineffabile

κρύφιον

reticente

δικέρωτα

bicorne

δίμορφον

a due forme

Morte e resurrezione di Fane
Nella tradizione orfica, Dioniso-Protogonos-Phanes è un dio morente e risorto. Eusebio ci racconta la storia della sua morte e ricreazione:

I Titani fanno bollire le membra smembrate di Dioniso in un bollitore, lo arrostiscono allo spiedo e mangiano la "carne sacrificale" arrostita, ma Atena salva il cuore ancora pulsante[13] da cui (secondo Olimpiodoro)[14] Zeus è in grado di ricreare il dio e riportarlo in vita.
La "carne sacrificale" arrostita di Phanes può essere associata all'Inno Cannibale. L'Inno Cannibale conserva un antico rituale di macellazione reale nell'antico Egitto, in cui il re defunto, assistito dal dio del vino Shezmu, macella, cucina e mangia gli dei come tori sacrificali, incorporando così in sé i loro poteri divini in modo che possa negoziare il suo passaggio nell'Aldilà. Questi tori sacrificali sono anche riferiti al mitraismo. Attraverso il mitraismo e le sue figure con la testa di leone, Phanes potrebbe anche essere associato ad Ahura Mazda.

Kessler ha sostenuto che questo culto della morte e della resurrezione di Dioniso si sviluppò nel 4 ° secolo dC. Si pensa che questo culto e altre sette che questo culto formò, insieme al mitraismo, fossero in diretta competizione con il cristianesimo primitivo durante la tarda antichità.

L'orfismo è un movimento religioso misterico, sorto in Grecia presumibilmente verso il VI secolo a.C. intorno alla figura di Orfeo, considerato il fondatore[1][2].

La figura di Orfeo – collegata a quella di un antico "missionario" greco in terra tracia, che vi perse la vita nel tentativo di trasferire il culto di Apollo[3]– potrebbe essere precedente alla sua adozione da parte dei maestri religiosi orfici del VI secolo a.C. Il suo inserimento nelle correnti che si fanno eredi del suo nome «era dovuta a qualcosa di più che non ad un vago sentimento di venerazione per un grande nome dell'antichità»[4]; frutto, piuttosto, da una parte della necessità di ereditare le credenze sulla "possessione" divina, propria dell'esperienza dionisiaca, dall'altra della convinzione di dover prolungare quelle pratiche di "purezza", che erano proprie dei Misteri eleusini; tutto ciò corrisponde ai due elementi fondanti delle dottrine orfiche:

la credenza nella divinità e quindi nell'immortalità dell'anima, la quale è "caduta" a causa della colpa originaria dei Titani (dalla cui combustione da parte di Zeus nascono gli uomini) che hanno divorato Dioniso nella sua prima incarnazione;
da cui consegue, al fine di evitare la perdita di tale immortalità o finire nella continua rinascita in stati di sofferenza, la necessità di condurre un'intera vita di purezza per ottenere l'accesso ad una vita ultraterrena felice;
Approfondimento
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Il dio smembrato e l'origine dell'uomo

«[...] e Orfeo ha tramandato che Dioniso, nelle cerimonie iniziatiche, fu smembrato dai Titani.»

(Diodoro Siculo, V, 75,4)
Se conveniamo con Pausania[5] il mito dello smembramento di Dioniso risale all'epoca di Pisistrato, quindi al VI secolo a.C. assumendo nel corso del tempo numerose varianti che possono essere riassunte nel seguente racconto: nella teogonia orfica (diversa da quella di Esiodo dove il dio è figlio della sola Semele) Dioniso (anche Zagreus) nasce dalla relazione tra Zeus e Rea/Demetra/Persefone; la legittima sposa del re degli dèi, Era, decide quindi di ucciderlo e allo scopo invia i Titani[6] che coperti il volto di gesso (γύψος)[7], aggirano la guardia dei kuretes, e ingannando il dio infante con giochi[8] e uno specchio, lo uccidono, in alcune versioni dopo che si è trasformato in un torello, con la Tartária mácharia (il coltello infero), smembrandolo[9] e quindi cuocendo dapprima le carni[10] e poi arrostendole allo spiedo[11][12], ma il dio rinasce dopo che Rea (in altre versioni è Apollo oppure Atena raccoglie il cuore che Zeus inghiotte o fa inghiottire a Semele, rigenerando il dio dopo esserselo cucito nella coscia, dopo la morte di Semele stesso) ne raccolse le membra dilaniate ricongiungendole[13]. Proclo[14], che lo riferisce a Orfeo, ripreso da Károly Kerényi[15], per il quale il mitologema è direttamente attribuibile a Onomacrito[16], descrive misticamente la suddivisione delle membra del dio in sette parti, con il cuore indiviso (in quanto "essenza indivisibile dell'intelletto"); segue la manducazione[17] e dopo che i Titani hanno mangiato Dioniso interviene Zeus che con la folgore li incenerisce. Dall'αἰθάλη (non quindi dalle ceneri, σποδός, ma dai vapori, quindi dalla fuliggine e poi materia) prodotta dalla carbonizzazione dei Titani, che nel frattempo rientrano nel Tartaro, nasce l'uomo: mescolanza dei Titani e del dio Dioniso frutto del loro banchetto[18].
«Fra le donne dionisiache, le serventi di Dioniso, ma non solo tra loro, si nasconde anche una nemica del dio che si svela e diventa la sua assassina! Tutti gli esseri umani sono così, perché tutti fatti della medesima sostanza dei primi nemici del dio; eppure tutti hanno in sé qualcosa che viene proprio da quel dio, la vita divina indistruttibile.»

(Károly Kerényi, Dioniso... p. 228)
Il motivo del rifiuto della dieta carnea[19], proprio della "vita orfica", risiede quindi anche nel fatto che solo tale rifiuto impedisce a Persefone, giudice dei trapassati, di rivivere il dramma del figlio sbranato dai Titani di cui gli uomini sono eredi[20], e quindi consente a questi di ottenere dalla dea un giudizio benevolo ovvero l'uscita dalla condizione della rinascita e l'ingresso nella vita beata.[21]
Nel mito, Orfeo, istruito dalle muse e da Apollo, è maestro nel suonare la lira; dopo aver preso parte alla spedizione degli argonauti e aver tentato di riportare in vita la moglie Euridice, persuadendo Ade e Persefone con la sua musica, fallisce e viene poi ucciso da un gruppo di donne seguaci di Dioniso (il culto del quale viene dalla Tracia). La religione orfica è appunto un addolcimento dei misteri dionisiaci: Dioniso è figura centrale ma a differenza del dionisismo dove si pratica il sacrificio animale cruento ("sparagmòs"), le danze orgiastiche e si beve il vino nei riti, nell'orfismo la dieta carnea è vietata, in quanto sgradita a Persefone per il ricordo dell'omicidio di Dioniso, divorato dai Titani e poi risuscitato, e quindi comportante l'impossibilità di entrare nei campi elisi nonché per la credenza nella metempsicosi in maniera simile al pitagorismo.[22]

Famosi orfici o vicini all'orfismo nel mondo greco-romano furono Platone, Socrate, Ovidio, Eraclito[23], Empedocle e Virgilio. Influenzò la filosofia platonica, finendo per influenzare poi il neopitagorismo e il neoplatonismo e forse anche il cristianesimo, per poi essere riscoperto nella sua interezza dottrinale in ambienti esoterici e filosofici del Rinascimento.
https://it.wikipedia.org/wiki/Orfismo
Origine storica
Per quanto le tradizioni più recenti lo indichino come "Tracio" è opinione di alcuni studiosi, come William Keith Chambers Guthrie, che la figura di Orfeo vada piuttosto collegata a quella, non si sa quanto "storica", di un antico "missionario" greco in terra tracia che, nel tentativo di trasferire il culto di Apollo, perse la vita[24].

Origini dell'orfismo secondo Eric R. Dodds
Nell'Orfismo si riscontra per la prima volta un inequivocabile riferimento a un'"anima" (ψυχή, psyché), contrapposta al corpo (σῶμα sōma) e di natura divina, resta però non chiara l'origine di questa nuova nozione. Eric R. Dodds[25] ritiene di individuare questa origine nella colonizzazione greca del Mar Nero avvenuta intorno al VII secolo a.C.[26] che consentì alla cultura greca di venire a contatto con le culture sciamaniche proprie dell'Asia centrale, in particolar modo con quella scita[27][28]. Tale sciamanesimo fondava le proprie credenza sulle pratiche estatiche laddove però non era il dio a "possedere" lo sciamano quanto piuttosto era l'"anima" dello sciamano che aveva esperienze straordinarie separate dal suo corpo. Alla base di queste conclusioni, Dodds pone l'analisi di alcuni personaggi, degli ἰατρόμαντες ("iatromanti"), veggenti e guide religiose, che, come Abari, giunsero dal Nord in Grecia trasferendo il culto di Apollo Iperboreo; o anche di alcuni Greci come Aristea, il quale, originario dell'Ellesponto, si trasferì, almeno idealmente, nel Nord, sede delle sue percezioni sciamaniche, così come un altro Greco d'Asia, Ermotimo di Clazomene[29]. Questi personaggi erano talmente diffusi nell'Atene del VI-V secolo a.C. che Sofocle nell'Elettra vi allude senza la necessità di nominarli.

Influenza dell'orfismo nella storia religiosa europea
L'importanza dell'orfismo nella storia della cultura religiosa, e più in generale nella storia del pensiero occidentale è enorme. Da Pindaro in poi, appare la concezione – sconosciuta ai Greci – della natura divina dell'uomo, il quale alberga in sé una parte mortale, umana, e una parte immortale e divina[30].

Il testo di Pindaro che per primo riporta l'idea della natura divina della vita umana è un frammento, il 131 b, che così recita:

«Il corpo di tutti obbedisce alla morte possente,
e poi rimane ancora vivente un'immagine della vita, poiché solo questa
viene dagli dèi: essa dorme mentre le membra agiscono, ma in molti sogni
mostra ai dormienti ciò che è furtivamente destinato di piacere e sofferenza.»

(Traduzione di Giorgio Colli, in La sapienza greca vol.1. Milano, Adelphi, 2005, p.127)
Anche se il concetto di psyché, nella Grecia antica, rappresentava il soffio vitale che animava il corpo e quindi aveva una vaga connotazione supernaturale, il nuovo concetto di un'anima divina contrapposta al corpo mortale ed umano portava un'interpretazione puritana della vita e della religione[31].

Orfeo, fondatore dell'Orfismo[32], ritratto in un kratēr attico a figure rosse risalente al V secolo a.C. (Metropolitan Museum of Art di New York).
Orfeo
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Lo stesso argomento in dettaglio: Orfeo.
Orfeo è considerato il fondatore dell'orfismo. Egli fonde in sé l'elemento apollineo e dionisiaco: come figura apollinea è il figlio o il pupillo del dio Apollo, che ne protegge le spoglie, è un eroe culturale, benefattore del genere umano, promotore delle arti umane e maestro religioso; in quanto figura dionisiaca, egli gode di un rapporto simpatetico con il mondo naturale, di intima comprensione del ciclo di decadimento e rigenerazione della natura, è dotato di una conoscenza intuitiva e nella vicenda stessa vi sono evidenti analogie con la figura di Dioniso per il riscatto dagli Inferi della Kore ("fanciulla", attributo di Persefone ma in questo caso riferito ad Euridice per Orfeo e alla madre Semele per Dioniso). Orfeo domina la natura selvaggia, i mostri, può addirittura sconfiggere la morte temporaneamente (anche se nelle versioni più celebri alla fine viene sconfitto perdendo la persona che doveva salvare, a differenza di Eracle, Demetra e Dioniso). Istruito dalle muse (tra cui sua madre Calliope) e dallo zio (o padre) Apollo, è il più grande musicista, tramite la sua lira; dopo aver preso parte alla spedizione degli argonauti, cerca di riportare in vita la moglie Euridice, persuadendo Ade e Persefone con la sua musica, ma fallisce per essersi voltato a guardarla prima dell'uscita (rompendo la condizione imposta); decide di abbandonare quindi l'amore e il culto dionisiaco, per dedicarsi alla musica e alla predicazione religiosa (per altri anche all'omoerotismo): per questo viene poi ucciso da un gruppo di menadi, donne seguaci di Dioniso. La sua lira viene posta fra le stelle, il corpo, smembrato come fu quello di Dioniso dai Titani, la testa (che continua a cantare) trasportata dal fiume e custodita e poi sepolta da Apollo, dalle muse o dalle ninfe, mentre la sua anima si ricongiunge ad Euridice, non nell'ade ma in un aldilà beato.[33][34]

Divinità venerate

Apollo del Belvedere, copia romana di età ellenistica (350 a.C.), Musei Vaticani
Le principali figure religiose orfiche, venerate attraverso la vita etica, sono tre divinità figlie di Zeus: Apollo, Dioniso e sua madre Persefone (anch'essa figlia di Zeus); e difatti come detto l'apollineo e il dionisiaco, vengono combinati nell'orfismo.

Il Dioniso detto "Richelieu", copia romana di un originale del 300 a.C. circa, attribuito a Prassitele o all'ambiente prassitelico (Parigi, Museo del Louvre)
L'orfismo si diffuse nel mondo romano dopo la proibizione dei baccanali; Ovidio e Virgilio parlano di Orfeo e delle dottrine orfiche (le divinità greche diventano quelle romane di Giove, Apollo, Bacco (Liber) e Proserpina) nelle Metamorfosi, nelle Georgiche e nell'Eneide.

Le cosmogonie, le teogonie e le antropogonie orfiche
La tradizione orfica, come quella mitologica greca, si dispone non secondo un modello unificato frutto di un sistema teologico, quanto piuttosto come un insieme di varianti[35]. Così nella Storia della teologia, testo andato perduto opera di Eudemo da Rodi, allievo di Aristotele, sarebbero state raccolte le varie teogonie come quelle di Omero, Esiodo, Orfeo, Acusilao[36], Epimenide[37], Ferecide[38], ma anche quelle non greche come le babilonesi, persiane e fenicie, a dimostrazione della presenza delle diverse tradizioni teogoniche e cosmogoniche che attraversavano il mondo greco.

Dante Gabriel Rossetti, Orfeo ed Euridice, disegno; Persefone, commossa da Orfeo, permette ad Euridice di andare mentre Ade è addormentato.
Una cosmogonia e teogonia di tipo "parodistico", ma di derivazione orfica la si riscontra in Aristofane (V-IV secolo a.C.) negli Uccelli (vv. 693-702)[39]. Tale brano è ritenuto il testo più antico attribuibile all'Orfismo, «esso riproduce sinteticamente la forma scritta più antica delle Teogonie orfiche, evocata anche da Platone, da Aristotele e trasmessa da Eudemo»[40].

Alcuni frammenti (relativi al Column XXI) dell'inno orfico del Papiro di Derveni[41].
Nel 1962 viene rinvenuto un rotolo di papiro all'interno di una tomba macedone collocata a Derveni (nei pressi di Salonicco) datata al IV secolo a.C. Per quanto semicarbonizzato parte del contenuto del papiro è stato recuperato[42]: conterrebbe un commento a una teogonia orfica e forse all'opera di Eraclito[43].

Il testo di Derveni coincide per molti contenuti con un altro, presente nel trattato titolato Sul mondo (Peri kosmou) datato alla prima metà del I a.C.[44] e attribuito allo [pseudo]-Aristotele[45]. Un frammento, che richiama Eudemo da Rodi (IV secolo a.C.) riprende la Notte come origine di tutte le cose[46]. Un'altra teogonia di stampo orfico è quella attribuita a Ieronimo e a Ellanico, di datazione incerta[47] e che viene riportata nel modo più esauriente da Damascio[48] nel VI secolo d.C. dove il Tempo (Chronos) (da non confondere con Kronos) genera l'uovo e da esso nasce un essere dall'aspetto sia femminile che maschile, con le ali d'oro, le teste del toro sui fianchi, un enorme serpente sul capo, questo essere conteneva in sé tutti i semi delle creature future, il nome di questo essere nato dall'Uovo era Phanes (Protogono), anche chiamato Zeus o Pan (Πάν). Un'ulteriore teogonia orfica emerge dai Discorsi sacri (hieroi logoi, in ventiquattro rapsodie detta anche Teogonia rapsodica)[49], di cui diversi autori neoplatonici riportano alcuni passi attribuiti a Orfeo, ma probabilmente frutto di una rielaborazione di materiale arcaico avvenuta tra il I e il II secolo d.C.[50].

Orfeo ucciso dalle menadi, in uno stamnos a figure rosse, risalente al V secolo a.C., (Museo del Louvre)
Nel complesso queste teogonie presentano un inizio caratterizzato da una sfera perfetta nella Notte cosmica, quindi, successivamente, ancora una totalità rappresentata da Phanes (Luce, "vengo alla Luce") androgino e con le ali dorate, completo in sé stesso, tuttavia dai lineamenti irregolari, e, infine, da questa unità ancora perfetta un insieme di accadimenti conducono a dei processi di differenziazione. Quindi emerge Zeus in cui tutto viene riassorbito e rigenerato nuovamente per una seconda processione, dalla quale emerge Dioniso il quale, tuttavia, per una macchinazione di Era, sposa di Zeus, verrà divorato dai Titani. Zeus irato scaglia contro costoro il fulmine: dalla fuliggine provocata dalla combustione dei Titani sorgono gli uomini composti dalla materia di questa, mischiata con la parte dionisiaca frutto del loro banchetto[51].

Nell'Orfismo, l'origine delle cose prende radice nella Notte e nell'Uovo primordiale che rappresenta l'unità, il microcosmo. La dischiusura dell'uovo degrada l'unità dell'essere ed impone che al suo smembramento in più elementi venga affiancata una ricerca di ricomposizione dell'unità. Questo ritorno allo stato originario di purezza, presente unicamente alla nascita, è rispecchiata dall'avvento del Dioniso orfico che riconquista lo stato di purezza perduto solamente alla sesta generazione[52].

Dioniso Zagreo
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Lo stesso argomento in dettaglio: Zagreo.
In antropologia Dioniso rappresenta il mito della "resurrezione del Dio ucciso"[53]. La versione religiosa orfica della venuta al mondo di Dioniso ribattezza il dio col nome di Zagreo. Secondo Ovidio, Zagreo (Zαγρεύς) è il figlio che Ade, sotto forma di serpente, ebbe dalla moglie Persefone (o, secondo altre versioni, nato da Persefone e il padre Zeus)[54] Tale nome appare per la prima volta nel poema dal VI secolo Alcmenoide, nel quale si dice: Potnia veneranda e Zagreo, tu che sei sopra tutti gli dei. Secondo Diodoro Siculo[55], i Cretesi consideravano Dioniso figlio di Ade, o Zeus, e Persefone e loro conterraneo. Di fatto gli epiteti di Dioniso a Creta erano Cretogeno, Ctonio, in quanto figlio della regina del mondo sotterraneo, e appunto Zagreo.

Secondo questo mito, Zeus aveva deciso di fare di Zagreo il suo successore nel dominio del mondo, provocando così l'ira di sua moglie Era. Zeus aveva affidato Zagreo ai Cureti affinché lo allevassero. Allora Era si rivolse ai Titani, i quali attirarono il piccolo Zagreo offrendogli giochi, lo rapirono, lo fecero a pezzi e divorarono le sue carni. Le parti rimanenti del corpo di Zagreo furono raccolte da Apollo, che le seppellì sul monte Parnaso; Atena invece trovò il cuore ancora palpitante del piccolo e lo portò a Zeus.

In base alle diverse versioni:

Zeus avrebbe mangiato il cuore di Zagreo, poi si sarebbe unito a Semele e questa avrebbe partorito Dioniso.
Zeus avrebbe fatto mangiare il cuore di Zagreo a Semele che avrebbe dato al dio divorato una seconda vita, generando appunto Dioniso.
Zeus punì i Titani fulminandoli, e dal fumo uscito dai loro corpi in fiamme sarebbero nati gli uomini. Questa versione è narrata anche da Nonno di Panopoli nelle Dionisiache.

Negli Inni orfici gli dei non emergono dal Caos o dalla Notte ma da Chronos come in altre teogonie orfiche; nell'elenco dei sovrani degli dei riportate negli Inni, Dioniso è il sesto, dopo Fanes, Notte, Urano, Kronos e Zeus); «l'ultimo re degli dei, investito da Zeus; il padre lo pone sul trono regale, gli dà lo scettro e lo fa re di tutti gli dei»[56]. Sempre negli Inni Orfici[57], che differiscono sia dalle Dionisiache che dalla teogonia esiodea dalle Metamorfosi di Ovidio, per l'ordine cronologico, Dioniso viene fatto a pezzi dai Titani e ricomposto da Apollo. E, parlando della nascita di Dioniso: «La prima è dalla madre [Persefone o Semele], un'altra è dalla coscia [di Zeus, dopo la fine di Semele], la terza avviene quando, dopo che è stato straziato dai Titani, e dopo che Rea ha rimesso insieme le sue membra, egli ritorna in vita»[58]. Nelle altre versioni, nasce da Persefone come Zagreo, viene ucciso dai Titani, rinasce da Semele e poi cresce nella coscia del padre per poter completare la gravidanza dopo che Semele, ingannata da Era, è stata fulminata e bruciata dallo splendore di Zeus. Dioniso viene perciò chiamato "il fanciullo dalla doppia porta" o il nato due volte (digènes).

Un'antica etimologia popolare, farebbe risalire invece da di-agreus (perfetto cacciatore), il nome Zagreo[59].

La "salvezza" orfica e il bios orphikos
Secondo l'antropogonia orfica, l'umanità prende origine nei resti dai Titani fulminati da Zeus, colpevoli di aver sbranato il dio Dioniso[60].

Questo mito è al fondamento della dualità fra corpo e anima introdotta dall'Orfismo: Dioniso è l'anima (tendenzialmente legata al bene), mentre i Titani sono il corpo (tendenzialmente legato al male) che va purificato[61].

Dioniso bambino munito di corna in una scultura romana del II secolo d.C.
Dioniso bambino munito di corna in una scultura romana del II secolo d.C.

«L'uovo, per gli orfici, è all'origine della vita, ne è la pienezza stessa: una vita però che degrada progressivamente sino al non-essere dell'esistenza individuale.»[62]. L'uovo (riprendendo il mito dell'uovo cosmico, quindi, rappresenta per gli Orfici la compiutezza delle origini, ma in ambito greco può inerire anche ad altri miti come quello che riguarda la nascita di Elena. In questo particolare di un'anfora, dipinta da Python (IV secolo a.C.), rinvenuta nella Tomba 24 di Andriuolo ed esposta presso il Museo archeologico nazionale di Paestum, viene raccontata per mezzo di una scena teatrale uno dei miti riguardanti la nascita di Elena (Ἑλένη), che nella versione più famosa è invece figlia di Leda sedotta dal padre degli dei olimpici in forma di cigno, e sorella dei Dioscuri. Nel mito orfico Zeus intende unirsi con Nemesi, la dea che indica la potenza della "giusta ira" nei confronti di coloro che violano l'ordine naturale delle cose. Ma Nemesi, piena di pudore, fugge il re degli dèi, dapprima lungo la terra, poi in mare e infine in cielo dove assunto il corpo di un'oca viene raggiunta da Zeus che prende la forma di un cigno unendosi in questo modo alla dea. Ermes raccoglie l'uovo, frutto dell'unione divina, e lo consegna a Leda (Λήδα), moglie del re di Sparta Tindareo (Τυνδάρεως). Compito della coppia regale è ora quello di eseguire la volontà divina di Zeus, ovvero di porre l'uovo divino su un altare ancora caldo delle ceneri di un sacrificio, provocandone in questo modo la schiusa. Elena nasce dall'uovo.jpgQui viene raffigurata la ekkolapsis (ἐκκόλαψις, la schiusa dell'uovo) da dove emerge la divina e bellissima Elena, circondata da Leda e da Tindareo. Alcuni studiosi hanno ritenuto di scorgere delle connessioni tra queste raffigurazioni del mito di Elena e le teologie orfiche diffuse lungo le colonie greche in Italia[63].
Il valore dell'anima immortale rispetto al valore del corpo che la imprigiona fa conseguire un nuovo paradigma rispetto ai valori dell'esistenza umana. Ma la morte di per sé non porta la liberazione dell'anima immortale. Essa, per le dottrine orfiche, è destinata a rinascere periodicamente (dottrina della reincarnazione o metempsicosi).[64]. Tale liberazione poteva essere conseguita, secondo gli orfici, seguendo una "vita pura", la "vita orfica" (bios orphikos Ὀρφικὸς βίος) dettata da una serie di regole non derogabili, la principale delle quali consiste nell'astinenza dalle uccisioni[65] da cui consegue il rifiuto del culto sacrificale, implicando un'alimentazione a base di vegetali[66][67].

Considerando il rifiuto del sacrificio animale e la conseguente alimentazione vegetariana, l'unico atto di servizio divino per gli orfici, come per i pitagorici, resta l'offerta di incenso[68], preghiere e talvolta ascetismo; vi è anche il rifiuto di mangiare fave (anche qui come nel pitagorismo) e uova, e di bere vino, o meglio, di ubriacarsi

Orfeo (in greco antico: Ὀρφεύς Orphéus, pronuncia: [or.pʰeú̯s]; in latino: Orpheus) è un personaggio della mitologia greca[4].

Mappa dei luoghi che, secondo la mitologia, Orfeo avrebbe visitato e legato a sé.
Il nome di Orfeo è attestato a partire dal VI secolo a.C., ma, secondo Mircea Eliade, «non è difficile immaginare che sia vissuto 'prima di Omero'»[5]. Si tratta dell'artista per eccellenza, che dell'arte incarna i valori eterni[6], ma anche di uno «sciamano, capace di incantare animali e di compiere il viaggio dell'anima lungo gli oscuri sentieri della morte»[7], fondatore dell'Orfismo. I molteplici temi chiamati in causa dal suo mito - l'amore, l'arte, l'elemento misterico - sono alla base di una fortuna senza pari nella tradizione letteraria, filosofica, musicale, culturale e scultorea dei secoli successivi.
https://it.wikipedia.org/wiki/Orfeo
Orfeo e l'Orfismo
Il primo riferimento a noi pervenuto sulla figura di Orfeo è nel frammento 25 del lirico di Rhegion (Reggio Calabria) Ibico vissuto nel VI secolo a.C. nella Magna Grecia, nel quale appare già "famoso"[9]. Attorno alla sua figura mitica, capace di incantare persino gli animali[11], si assesta una tradizione che non gli attribuisce un normale modo di fare musica, bensì la psychagogia, che si estende alle anime dei morti. Il papiro di Derveni, rinvenuto negli anni 1960 vicino a Salonicco, offre un'interpretazione allegorica di un poema orfico non a caso in concomitanza con un rituale per placare i morti[12].

Associato alla figura di Dioniso, divorato dai Titani con i quali rappresenta, da un lato la componente dionisiaca della vita –ossia l'elemento divino o "anima"– e dall'altro il corpo mortale, Orfeo è la figura centrale dell'Orfismo, una tradizione religiosa che, per prima nel mondo occidentale, introduce la nozione di dualità fra corpo mortale e anima immortale[
Secondo le più antiche fonti Orfeo è nativo della città di Lebetra in Tracia, situata sotto la Pieria[14], terra nella quale fino ai tempi di Erodoto era testimoniata l'esistenza di sciamani che fungevano da tramite fra il mondo dei vivi e dei morti, dotati di poteri magici operanti sul mondo della natura, capaci tra l'altro di provocare uno stato di trance tramite la musica.

Figlio della Musa Calliope e del sovrano tracio Eagro (o, secondo altre versioni meno accreditate, del dio Apollo), appartiene alla generazione precedente degli eroi che parteciparono alla guerra di Troia, tra i quali ci sarebbe stato il cugino Reso. Secondo un'altra versione Orfeo fu il sesto discendente di Atlante e nacque undici generazioni prima della guerra di Troia[14]. Egli, con la potenza incantatrice della sua lira e del suo canto, placava le bestie feroci e animava le rocce e gli elementi della natura.

Gli è spesso associato, come figlio o allievo, Museo.

Orfeo fonde in sé gli elementi apollineo e dionisiaco: come figura apollinea è il figlio o il pupillo del dio Apollo, che ne protegge le spoglie, è un eroe culturale, benefattore del genere umano, promotore delle arti umane e maestro religioso; in quanto figura dionisiaca, egli gode di un rapporto simpatetico con il mondo naturale, di intima comprensione del ciclo di decadimento e rigenerazione della natura, è dotato di una conoscenza intuitiva e nella vicenda stessa vi sono evidenti analogie con la figura di Dioniso per il riscatto dagli Inferi di una fanciulla (Euridice nel caso di Orfeo e la madre Semele in quello di Dioniso). Orfeo domina la natura selvaggia e può addirittura sconfiggere la morte temporaneamente (anche se alla fine viene sconfitto perdendo la persona che doveva salvare, a differenza di Dioniso).

La letteratura, d'altra parte, mostra la figura di Orfeo anche in contrasto con le due divinità: la perdita dell'amata Euridice sarebbe da rintracciarsi nella colpa di Orfeo di aver assunto prerogative del dio Apollo di controllo della natura attraverso il canto; tornato dagli Inferi, Orfeo abbandona il culto del dio Dioniso rinunciando all'amore eterosessuale. In tale contesto si innamora profondamente di Calaide, figlio di Borea, e insegna l'amore omosessuale ai Traci. Per questo motivo, le Baccanti della Tracia, seguaci del dio, furenti per non essere più considerate dai loro mariti, lo assalgono e lo fanno a pezzi (vedi: Fanocle). Nella versione del mito contenuta nelle Georgiche di Virgilio la causa della sua morte è invece da ricercarsi nell'ira delle Baccanti per la sua decisione di non amare più nessuno dopo la morte di Euridice.

Le imprese di Orfeo e la sua morte

Le ninfe ritrovano la testa di Orfeo (1900) di William Waterhouse.
Secondo la mitologia classica, Orfeo prese parte alla spedizione degli Argonauti: durante la spedizione Orfeo diede innumerevoli prove della forza invincibile della sua arte, salvando la truppa in molte occasioni; con la lira e con il canto fece salpare la nave rimasta inchiodata nel porto di Jolco, diede coraggio ai naviganti esausti a Lemno, placò a Cizico l'ira di Rea, fermò le rocce semoventi alle Simplegadi, addormentò il drago e superò la potenza ammaliante delle sirene.

La sua fama è legata però soprattutto alla tragica vicenda d'amore che lo vide separato dalla driade Euridice, che era sua moglie. Come Virgilio narra nelle Georgiche, Aristeo, uno dei tanti figli di Apollo, amava perdutamente Euridice e, sebbene il suo amore non fosse corrisposto, continuava a rivolgerle le sue attenzioni fino a che un giorno ella, per sfuggirgli, mise il piede su un serpente, che la uccise col suo morso. Orfeo, lacerato dal dolore, scese allora negli inferi per riportarla nel mondo dei vivi. Raggiunto lo Stige, fu dapprima fermato da Caronte: Orfeo, per oltrepassare il fiume, incantò il traghettatore con la sua musica. Sempre con la musica placò anche Cerbero, il guardiano dell'Ade. Raggiunse poi la prigione di Issione, che, per aver desiderato Era, era stato condannato da Zeus a essere legato a una ruota che avrebbe girato all'infinito: Orfeo, cedendo alle suppliche dell'uomo, decise di usare la lira per fermare momentaneamente la ruota, che, una volta che il musico smise di suonare, cominciò di nuovo a girare.

L'ultimo ostacolo che si presentò fu la prigione del crudele semidio Tantalo, che aveva ucciso il figlio Pelope (antenato di Agamennone) per dare la sua carne agli dei e aveva rubato l'Ambrosia per darla agli uomini. Qui, Tantalo è condannato a rimanere legato a un albero carico di frutta ed immerso fino al mento nell'acqua: ogni volta che prova a bere, l'acqua si abbassa, mentre ogni volta che cerca di prendere i frutti con la bocca, i rami si alzano. Tantalo chiede quindi a Orfeo di suonare la lira per far fermare l'acqua e i frutti. Suonando però, anche il suppliziato rimane immobilizzato e quindi, non potendo sfamarsi, continua il suo tormento. A questo punto l'eroe scese una scalinata di 1000 gradini: si trovò così al centro del mondo oscuro, e i demoni si sorpresero nel vederlo. Una volta raggiunta la sala del trono degli Inferi, Orfeo incontrò Ade (Plutone) e Persefone (Proserpina).

Ovidio racconta nel decimo libro delle Metamorfosi[15] come Orfeo, per addolcirli, diede voce alla lira e al canto. Il discorso di Orfeo fece leva sulla commozione, richiamando alla gioventù perduta di Euridice e l'enfasi sulla forza di un amore impossibile da dimenticare e sullo straziante dolore che la morte dell'amata ha provocato. Orfeo assicurò anche che, quando fosse venuta la sua ora, Euridice sarebbe tornata nell'Ade come tutti. A questo punto Orfeo rimase immobile, pronto a non muoversi finché non fosse stato accontentato.

Paesaggio con Orfeo ed Euridice (1650-51) di Nicolas Poussin.
Mossi dalla commozione, che colse persino le Erinni stesse, Ade e Persefone acconsentirono al desiderio.

«Intonando al canto le corde della lira, così disse: «O dei, che vivete nel mondo degl’Inferi, dove noi tutti, esseri mortali, dobbiamo finire, se è lecito e consentite che dica il vero, senza i sotterfugi di un parlare ambiguo, io qui non sono sceso per visitare le tenebre del Tartaro o per stringere in catene le tre gole, irte di serpenti, del mostro che discende da Medusa. Causa del viaggio è mia moglie: una vipera, che aveva calpestato, in corpo le iniettò un veleno, che la vita in fiore le ha reciso. Avrei voluto poter sopportare, e non nego di aver tentato: ha vinto Amore! Lassù, sulla terra, è un dio ben noto questo; se lo sia anche qui, non so, ma almeno io lo spero: se non è inventata la novella di quell’antico rapimento, anche voi foste uniti da Amore. Per questi luoghi paurosi, per questo immane abisso, per i silenzi di questo immenso regno, vi prego, ritessete il destino anzitempo infranto di Euridice! (...) Si dice che alle Furie, commosse dal canto, per la prima volta si bagnassero allora di lacrime le guance. Né ebbero cuore, regina e re degli abissi, di opporre un rifiuto alla sua preghiera, e chiamarono Euridice.»

(Ovidio, Metamorfosi)
Essi posero però la condizione che Orfeo avrebbe dovuto precedere Euridice per tutto il cammino fino all'uscita dell'Ade senza voltarsi mai all'indietro. Esattamente sulla soglia degli Inferi, temendo che lei non lo stesse più seguendo, Orfeo non riuscì più a resistere al dubbio e si voltò per assicurarsi che la moglie lo stesse seguendo. Avendo rotto la promessa, Euridice viene riportata all'istante nell'Oltretomba.

Orfeo, tornato sulla terra, espresse il dolore fino ai limiti delle possibilità artistiche, incantando nuovamente le fiere e animando gli alberi. Pianse per sette mesi ininterrottamente, secondo Virgilio,[16] mentre Ovidio riduce il numero a sette giorni.[17] Sa che non potrà amare più nessun'altra, e malgrado ciò molte ambiscono a unirsi a lui. Secondo la versione virgiliana le donne dei Ciconi videro che la fedeltà del Trace nei confronti della moglie morta non si piegava; allora, in preda all'ira e ai culti bacchici cui erano devote, lo fecero a pezzi (il famoso sparagmòs) e ne sparsero i resti per la campagna.[18]

Un po' diversa è la rivisitazione del poeta sulmonese, che aggiunge un tassello alla reazione anti-femminile di Orfeo, coinvolgendo il cantore nella fondazione dell'amore omoerotico (questo elemento non è di invenzione ovidiana visto che ne abbiamo attestazione già nel poeta alessandrino Fanocle). Orfeo avrebbe quindi ripiegato sull'amore per i fanciulli, facendo innamorare anche i mariti delle donne di Tracia, che venivano così trascurate. Le Menadi si infuriarono dilaniando il poeta, nutrendosi anche di parte del suo corpo, in una scena ben più cruda di quella virgiliana.[19]

Piatto con Orfeo circondato da animali presso il Museo Romano-Germanico di Colonia.
In entrambi i poeti si narra che la testa di Orfeo finì nel fiume Ebro, dove continuò prodigiosamente a cantare, simbolo dell'immortalità dell'arte, scendendo (qui solo Ovidio) fino al mare e da qui alle rive di Metimna, presso l'isola di Lesbo, dove Febo Apollo la protesse da un serpente che le si era avventato contro. Il sofista del III secolo Filostrato nell'Eroico (28,8) racconta che la testa di Orfeo, giunta a Lesbo dopo il delitto commesso dalle donne, stava in una grotta dell'isola e aveva il potere di dare oracoli. Secondo altre versioni, i resti del cantore sarebbero stati seppelliti dalle impietosite Muse nella città di Libetra. Tornando a Ovidio, eccoci al punto culminante dell'avventura, forse inaspettato; Orfeo ritrova Euridice fra le anime pie, e qui potrà guardarla senza più temere.[20]

Orfeo vede ora scomparire Euridice e si dispera, perché sa che non la vedrà più. Decide allora di non desiderare più nessuna donna dopo la sua Euridice. Un gruppo di Baccanti ubriache, poi, lo invita a partecipare a un'orgia dionisiaca. Per tener fede a ciò che ha detto, rinuncia, ed è proprio questo che porta anche lui alla morte: le Baccanti, infuriate, lo uccidono, lo fanno a pezzi e gettano la sua testa nel fiume Evros, insieme alla sua lira. La testa cade proprio sulla lira e galleggia, continuando a cantare soavemente. Zeus, toccato da questo evento commovente, prende la lira e la mette in cielo formando una costellazione (la quale in alternativa, secondo le Fabulae di Igino, sarebbe non la lira di Orfeo ma quella di Arione). Secondo quanto afferma Virgilio nel sesto libro dell'Eneide, l'anima di Orfeo venne accolta nei Campi Elisi.

Evoluzione del mito

Ragazza tracia con la testa di Orfeo (1865), di Gustave Moreau.
«Pensavo a quel gelo, a quel vuoto che avevo traversato e che lei si portava nelle ossa, nel midollo, nel sangue. Valeva la pena di rivivere ancora? Ci pensai, e intravvidi il barlume del giorno. Allora dissi "sia finita" e mi voltai»

(Orfeo ne L'inconsolabile di Cesare Pavese, dai Dialoghi con Leucò, Einaudi 1947)
Il mito di Orfeo nasce forse come mito di fertilità, come è possibile desumere dagli elementi del riscatto della Kore e dello σπαραγμος (sparagmòs) al greco antico "corpo fatto a pezzi") che subisce il corpo di Orfeo, elementi che indicano il riportare la vita sulla terra dopo l'inverno.

La prima attestazione di Orfeo è nel poeta Ibico di Reggio (VI sec a.C.), che parla di Orfeo dal nome famoso.[21] In seguito Eschilo, nella tragedia perduta Le bassaridi, fornisce le prime informazioni attinenti alla catabasi di Orfeo. Importanti anche i riferimenti di Euripide, che in Ifigenia in Aulide e ne Le baccanti rende manifesta la potenza suasoria dell'arte di Orfeo, mentre nell'Alcesti spuntano indizi che portano in direzione di un Orfeo trionfatore. La linea del lieto fine, sconosciuta ai più, non si limita a Euripide, dato che è possibile intuirla anche in Isocrate (Busiride) e in Ermesianatte (Leonzio).[22] Altri due autori greci che si sono occupati del mito di Orfeo proponendo due diverse versioni di esso sono il filosofo Platone e il poeta Apollonio Rodio.

Nel discorso di Fedro, contenuto nell'opera Simposio, Platone inserisce Orfeo nella schiera dei sofisti, poiché utilizza la parola per persuadere, non per esprimere verità; egli agisce nel campo della doxa, non dell'episteme. Per questa ragione gli viene consegnato dagli dèi degli inferi un phasma di Euridice; inoltre, non può essere annoverato tra la schiera dei veri amanti poiché il suo eros è falso come il suo logos. La sua stessa morte ha carattere antieroico poiché ha voluto sovvertire le leggi divine penetrando vivo nell'Ade, non osando morire per amore. Il phasma di Euridice simboleggia l'inadeguatezza della poesia a rappresentare e conoscere la realtà, conoscenza che può essere conseguita solo tramite le forme superiori dell'eros.[23]

Apollonio Rodio inserisce il personaggio di Orfeo nelle Argonautiche, presentato anche qui come un eroe culturale, fondatore di una setta religiosa. Il ruolo attribuito a Orfeo esprime la visione che del poeta hanno gli alessandrini: attraverso la propria arte, intesa come abile manipolazione della parola, il poeta è in grado di dare ordine alla materia e alla realtà; a tal proposito è emblematico l'episodio nel quale Orfeo riesce a sedare una lite scoppiata tra gli argonauti cantando una personale cosmogonia.

Nell'Alto Medioevo Boezio, nel De consolatione philosophiae, pone Orfeo a emblema dell'uomo che si chiude al trascendente, mentre il suo sguardo, come quello della moglie di Lot, rappresenta l'attaccamento ai beni terreni. Nei secoli successivi, tuttavia, il Medioevo vedrà in Orfeo un'autentica figura Christi, considerando la sua discesa agli Inferi come un'anticipazione di quella del Signore, e il cantore come un trionfante lottatore contro il male e il demonio (così anche più tardi, con El divino Orfeo di Pedro Calderón de la Barca, 1634). Dante lo colloca nel Limbo, nel castello degli "spiriti magni" (Inf. IV. 139).

Nel 1864 compare la prima rivoluzionaria avvisaglia di un tema che sarà caro soprattutto al secolo successivo: il respicere di Orfeo non è più frutto di un destino avverso o di un errore, ma matura da una precisa volontà, ora sua, ora d'Euridice. Nel componimento Euridice a Orfeo del poeta inglese Robert Browning, lei gli urla di voltarsi per abbracciare in quello sguardo l'immensità del tutto, in una empatia tale da rendere superfluo qualsiasi futuro.

Il XX secolo si è appropriato della tesi secondo cui il gesto di Orfeo sarebbe stato volontario. Come è d'uopo, i primi casi non sono italiani. Jean Cocteau, ossessionato da questo mito lungo tutta la propria parabola artistica, nel 1925, diede alle stampe il proprio singolare Orfeo, opera teatrale che è alla base di tutte le rivisitazioni successive. Qui Orfeo capovolge il mito; decide di congiungersi con Euridice tra i morti, perché l'al di qua ha ormai reso impossibile l'amore e la pace. Laggiù non ci sono più rischi. Gli fa eco il connazionale Jean Anouilh, in un'opera pur molto diversa, ma concorde nel vedere la morte come unica via di fuga e di realizzazione del proprio sogno d'amore: si tratta di Eurydice (1941).

Nel dialogo pavesiano L'inconsolabile (Dialoghi con Leucò, 1947), Orfeo si confida con Bacca: trova sé stesso nel Nulla che intravede nel regno dei morti e che lo sgancia da ogni esigenza terrena. Totalmente estraneo alla vita, egli ha compiuto il proprio destino. Euridice, al pari di tutto il resto, non conta più nulla per lui, e non potrebbe che traviarlo da siffatta realizzazione di sé: ha nelle fattezze ormai il gelo della morte che ha conosciuto, e non rappresenta più l'infanzia innocente con cui il poeta l'identificava. Voltarsi diviene un'esigenza ineludibile.

Con il termine misteri (dal greco μυστήριον [mysterion], poi latinizzato in mysterium) si indicano i culti di carattere esoterico che affondano le loro radici nelle antiche iniziazioni primitive e arcaiche e che si diffusero in tutto il mondo greco antico e mediorientale, con un particolare sviluppo in età ellenistica e successivamente romana.[1]

Samotracia, iniziazione di Agamennone al culto dei Cabiri
Si differenziavano dalle religioni ufficiali,[2] perché si trattava di riti esercitati da gruppi ristretti, entro i quali era vietato l'accesso ai comuni profani.[1] Venivano praticati spesso nei templi, il cui aspetto esteriore era quello di scuole, dove la conoscenza costituiva un tutt'uno con la disciplina pratica, i cui segreti erano custoditi e insegnati da cerchie riservate di maestri-sacerdoti
https://it.wikipedia.org/wiki/Religioni_misteriche
Caratteri distintivi
Una delle caratteristiche fondamentali, condivisa dai diversi culti misterici, consiste nel fatto che l'insieme delle credenze, delle pratiche religiose, e gli insegnamenti sulla loro vera natura, venivano rivelate esclusivamente agli adepti dopo averli ammessi tramite una specifica iniziazione; costoro avevano l'obbligo di non profanarne il segreto, il quale doveva rimanere ineffabile, altrimenti potevano essere puniti persino con la morte.[1]

Componenti comuni dei riti misterici erano generalmente simboli sacri e cerimonie magiche, sacramenti e rituali di purificazione, che potevano includere sacrifici, abluzioni, digiuni o astinenze, banchetti devozionali, danze, ecc.

Altra caratteristica principale delle discipline occulte era quella di avere carattere salvifico. L'azione iniziatica era destinata a trasformare radicalmente la vita del discepolo, offrendogli una prospettiva di liberazione totale rispetto ai suoi problemi esistenziali, concernenti la sopravvivenza quotidiana e l'inevitabile caducità di ogni essere umano.

Attraverso vari stadi di iniziazione infatti, i nuovi allievi, accolti dopo varie prove dallo «ierofante», cioè dall'officiante supremo, pervenivano alla visione della divinità, che, essendo morta e rinata, garantiva loro la «liberazione», ovvero il superamento della normale condizione umana e delle proprie limitazioni individuali. La «resurrezione» del dio, a cui partecipava l'iniziato, indicava una nascita di là dalla morte, oltre questo mondo, comprovando che la vita umana non sarebbe terminata con la sua fine terrena.

Per provocare nel futuro adepto questo tipo di esperienza, si faceva talvolta ricorso allo stimolo di sostanze psicotrope, che ingeneravano in lui uno stato di trance profonda simile alla premorte, della durata di circa tre giorni, durante i quali egli aveva la possibilità di compiere un viaggio extracorporeo per visitare i mondi spirituali e convincersi della loro esistenza.[7]

Origine agreste dei misteri
La genesi e lo sviluppo storico delle forme religiose misteriche, espressione di una cultura popolare spesso contrapposta alla religiosità delle istituzioni ufficiali, avvennero prevalentemente in ambito agreste e rurale.[2] Dal ciclo naturale vita-morte-rinascita scaturiva per analogia la visione misterica della sorte dell'uomo che rinasce a nuova vita. Attraverso la rappresentazione drammatica, simbolica e spirituale dell'alternanza ciclica delle stagioni e dei fenomeni naturali, attuata nei riti di iniziazione, i proseliti raggiungevano il compimento delle loro esigenze escatologiche e soteriologiche.[2]

I principali culti misterici
I misteri più famosi del mondo greco erano senz'altro i misteri eleusini, legati al culto delle divinità agresti della natura e delle stagioni, ovvero Demetra e Persefone.[8]

Accanto a questi sono da ricordare quelli legati al culto di Dioniso, a quello di Orfeo nei misteri orfici, a quello del dio frigio Sabazio, i misteri dei Cabiri a Samotracia nell'omonimo santuario.[8]

Anche Pitagora, dopo essere stato iniziato ai misteri egizi, fondò una scuola esoterica a Crotone, in Calabria, i cui aderenti erano vincolati da un solenne giuramento.[9] Si tramanda che un personaggio di nome Cilone, proprio perché non ritenuto degno di appartenervi, guidò per vendetta una rivolta contro i pitagorici determinando la distruzione della loro scuola.[9][10]

Nel sincretismo religioso tipico dell'età ellenistica e più tardi romana ebbero notevole importanza le realtà misteriche di origine orientale. I culti misterici della Grande Madre Cibele con Attis dall'Asia minore, quelli di Serapide, Iside e Osiride della mitologia egizia, e quelli di Mitra dalla Persia permearono la facies religiosa della cultura romana imperiale, che vide il proliferare di templi, isei (templi dedicati a Iside) e mitrei in tutto il mondo allora conosciuto.[8]

Riflessi in letteratura e filosofia
Anche nella letteratura greca, ellenistica e romana si trovano i riflessi dell'importanza dei misteri nell'ambito culturale antico. Ne sono prova, tra gli altri, l'inno omerico a Demetra, gli inni orfici e le Metamorfosi di Apuleio.[11]

La grande diffusione dei culti misterici ebbe inoltre non poca influenza sul pensiero filosofico tardo antico, come dimostrano le speculazioni metafisiche tipiche del neoplatonismo, del neopitagorismo e dello gnosticismo.[12]

Sviluppi ed eredità
In seguito la tradizione dei misteri sarebbe sopravvissuta attraverso il Medioevo cristiano nelle forme delle correnti mistiche dei Cavalieri Templari, del Graal, o della scuola di Chartres, spesso dando luogo a società segrete o a movimenti accusati di eresia come quello dei Catari.[13] Queste scuole, insieme ad altri influssi provenienti da più parti, avrebbero preparato il terreno al rinnovamento operato in età moderna dalla confraternita dei Rosacroce,[7] la cui origine rimane avvolta da un'aura di leggenda.[14]

Nella massoneria, che rivendica le proprie origini dai misteri dell'antico Egitto oltre che del Tempio di Salomone,[15] si ritrovano le modalità con cui per essere ammesso, il discepolo deve dimostrare di voler aspirare alla saggezza spirituale, e di saper dominare le passioni fisiche per poter essere condotto ad una serie di esperienze sottili sul piano astrale.[7]

Sul finire del XIX secolo, la fondazione della Società Teosofica da parte di Helena Petrovna Blavatsky intendeva riportare in auge l'antica saggezza occulta, o teosofia, che era stata insegnata nelle scuole misteriche del passato.

«Vi era in ogni nazione antica degna di chiamarsi civile, una Dottrina Esoterica, un sistema designato con il nome di Saggezza, e coloro che si erano votati alla sua prosecuzione furono dapprima denominati uomini saggi o dotti [...] Pitagora chiamava questo sistema ή γνώσις τών όντων [hé gnòsis tòn ònton], la Gnosi o Conoscenza delle cose che sono.[16]»

(Alexander Wilder, New Platonism and Alchemy, pag. 6, Albany, N.Y., 1869)
Il nucleo degli antichi misteri sarebbe stato preservato attraverso i secoli, secondo la Blavatsky, da una fratellanza occulta di maestri spirituali che avrebbero indotto lei stessa a rivelarli e a riproporli al genere umano in forme nuove. Analogamente Rudolf Steiner, con la fondazione della Società antroposofica nel XX secolo, si prefiggeva esplicitamente un rinnovamento dei misteri, il cui scopo però, già a partire dalle iniziazioni rosacrociane, sarebbe stata d'ora innanzi la rivelazione del Cristo, a differenza di quelle antiche senza più ricorrere all'ottundimento della coscienza causato dalle droghe

I misteri eleusìni (in greco antico: Ἐλευσίνια Μυστήρια) erano riti religiosi misterici che si celebravano ogni anno nel santuario di Demetra nell'antica città greca di Eleusi. Sono il "più famoso dei riti religiosi segreti dell'antica Grecia".[4] Alla loro base vi era un antico culto agrario,[5] e ci sono alcune prove che derivavano dalle pratiche religiose del periodo miceneo.[6][7]

I misteri rappresentavano il mito del rapimento di Persefone dalla madre Demetra da parte del re degli inferi Ade, in un ciclo a tre fasi; la discesa (perdita), la ricerca e l'ascesa, con il tema principale che è l'ascesa (άνοδος) di Persefone e la riunione con sua madre. Era un grande festival durante l'epoca ellenica e in seguito si diffuse a Roma.[8] Riti religiosi simili appaiono nelle società agricole del Vicino Oriente e nella Creta minoica. I misteri eleusini, come l'orfismo e i misteri dionisiaci, hanno le loro remote radici nella protostoria, da tradizioni cretesi, asiatiche, traci, arricchite ed integrate in un nuovo orizzonte religioso.[9]

I riti, le cerimonie e le credenze furono tenuti segreti e costantemente preservati dall'antichità. Per gli iniziati, la rinascita di Persefone simboleggiava l'eternità della vita che scorre di generazione in generazione, e credevano che avrebbero avuto una ricompensa nell'aldilà.[10] Ci sono molti dipinti e pezzi di ceramica che rappresentano vari aspetti dei Misteri. Poiché i Misteri coinvolgevano le visioni e l'evocazione di un aldilà, alcuni studiosi ritengono che il potere e la longevità dei Misteri Eleusini, un insieme coerente di riti, cerimonie ed esperienze che attraversavano due millenni, provenissero da sostanze psichedeliche.[11] Il nome della città, Eleusís, sembra essere pre-greco ed è probabilmente una controparte dei Campi elisi e la dea Ilizia.
https://it.wikipedia.org/wiki/Misteri_eleusini
https://it.wikipedia.org/wiki/Dioniso#I_Misteri_Dionisiaci
https://it.wikipedia.org/wiki/Misteri_di_Samotracia_e_Misteri_degli_d%C3%A8i_Cabiri
Misteri eleusini (in greco: Ἐλευσίνια Μυστήρια) era il nome dei misteri della città di Eleusi. Il nome della città è pre-greco e potrebbe essere correlato al nome della dea Ilizia.[12] Il suo nome Ἐλυσία (Elysia) in Laconia e Messene, probabilmente la collega al mese di Eleusinios ed Eleusi,[13] ma questo è oggetto di discussione[14]. L'antica parola greca "misteri" (μυστήριον) significa "mistero o rito segreto"[15] ed è correlata al verbo mueō (μυέω), che significa iniziazione ai misteri,[16] e al sostantivo mustēs (μύστης), che significa un iniziato.[17] La parola mustikós (μυστικός) significa "connesso con i misteri", o "privato, segreto" (come in greco moderno).[18]

Demetra e Persefone
I Misteri sono legati a un mito riguardante Demetra, la dea dell'agricoltura e della fertilità raccontata nell'Inno a Demetra degli Inni omerici. La sua datazione è controversa ma si ritiene sia certamente anteriore almeno alla metà del VI secolo a.C.[19].

Origini mitiche e loro fondamento
Il testo fondamentale dei Misteri di Eleusi, che ne narra sia il mito sia la fondazione, è l'Inno a Demetra collocato come secondo inno nella raccolta degli Inni omerici (650 a.C. circa). Secondo l'inno, la figlia di Demetra, Persefone (detta anche Kore, "fanciulla"), fu incaricata di dipingere tutti i fiori della terra, quando fu catturata da Ade, il dio della morte e degli inferi. Egli la portò nel suo regno degli inferi. Sconvolta, Demetra cercò in ogni luogo sua figlia.

Durante le sue peregrinazioni, Demetra si rifugiò dal re di Eleusi, Celeo, sotto forma della vecchia Doso. Dopo essere stata costretta a rivelarsi dalla regina Metanira, lasciando il palazzo, la dea chiese a Metanira di ergerle un santuario con un altare da dove ella potesse insegnare i suoi riti agli uomini. Edificato il santuario, Demetra vi si rifugiò e, ancora adirata per la scomparsa della figlia Persefone, da lì provocò un'aridità che desolò tutta la Terra, generando carestie e impedendo così agli dèi di ricevere sacrifici dagli uomini[20]. Vanamente Zeus le inviò dei messaggi per farla tornare sull'Olimpo, ma gli rispose che sarebbe risalita sul monte degli dèi e avrebbe posto termine alla carestia solo qualora avesse potuto rivedere la figlia. Finalmente, Zeus cedette e permise a Persefone di tornare da sua madre[21].

Ritrovata la figlia, Demetra acconsentì a ristabilire la vegetazione sulla Terra e a rientrare sull'Olimpo, ma non prima di aver insegnato i suoi Misteri a Diocle, Trittolemo, Celeo ed Eumolpo[22].

André Motte[23] individua nella fase iniziale dell'Inno a Demetra l'elemento portante dell'insegnamento iniziatico: quando Kore raccoglie il narciso si fa donna, sposa di Ade che le spiega che "quaggiù" ella regnerà «su tutti gli esseri che vivono e si muovono»; non quindi su un regno di ombre come rappresentato in Omero. La risalita di Kore corrisponde inoltre al ritorno della vegetazione sulla terra[24].

I Misteri

Demetra, in trono che allunga la mano in una benedizione verso Metanira inginocchiata, che offre il grano trino che è un simbolo ricorrente dei misteri (Pittore Varrese, Hydria a figure rosse, 340 a.C. circa, Apulia)
I riti eleusini si svolgevano già prima dell'invasione ellenica (periodo miceneo, circa 1600-1100 a.C.). Secondo alcuni studiosi il culto di Demetra fu fondato attorno al 1550 a.C.[25] Gli scavi hanno dimostrato che esisteva un edificio privato sotto il Telesterion di Eleusi nel periodo miceneo, e sembra che in origine il culto di Demetra fosse privato. Nell'Inno omerico è menzionato il palazzo del re Celeo.[26] Una linea di pensiero degli studiosi moderni è stata che i Misteri intendevano "elevare l'uomo al di sopra della sfera umana nel divino e assicurare la sua redenzione rendendolo un dio e conferendogli così l'immortalità".[27] Lo studio comparativo mostra dei parallelismi tra questi riti greci e altri simili, alcuni dei quali più antichi, nel Vicino Oriente. Tali culti includono i misteri di Iside e Osiride in Egitto, l'Adoniaco dei culti siriani, i misteri persiani e i misteri frigio cabiriani.[28]

Alcuni studiosi sostenevano che il culto Eleusino fosse una continuazione di un culto minoico,[29] e che Demetra fosse una dea dei papaveri che portò il papavero da Creta a Eleusi.[30][31] Alcune informazioni utili dal periodo miceneo possono essere tratte dallo studio del culto di Despina, (la dea precursore di Persefone), e il culto di Ilizia che era la dea della nascita. Il megaron di Despina a Licosura è abbastanza simile al Telesterion di Eleusi,[7] e Demetra è unita al dio Poseidone, portando una figlia, l'innominabile Despina (l'amante).[32] Nella grotta di Amniso a Creta, la dea Ilizia è legata alla nascita annuale del bambino divino, ed è connessa con Enesidaon (lo scuotitore della terra),[33] che è l'aspetto ctonio di Poseidone.[34]

Nelle iscrizioni di Eleusi si fa riferimento alle "Dee" accompagnate dal dio agricolo Trittolemo (probabilmente figlio di Gea e Oceano),[35] e "il Dio e la Dea" (Persefone e Plutone) accompagnato da Eubuleo che

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