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Lo scudo e il tetto
Trasmissione del 22 giugno 2022
Nel suo discorso all’Europarlamento il Premier Mario Draghi, lo scorso 3 maggio, lanciò ufficialmente la proposta di un tetto al prezzo del gas per provare a limitare il caro-energia, «inspiegabile anche nonostante la guerra in Ucraina».
La risposta è stata sostanzialmente “nein”: l’Italia aveva lanciato la proposta di fissare a 80 euro il tetto massimo, da assestarsi sui 60 euro nel corso del tempo. I Paesi del Nord però si sono opposti in quanto l’introduzione del tetto «altererebbe l’attuale mercato libero»In realtà a livello europeo una misura del genere è già attiva in due Paesi, Spagna e Portogallo, ma con elementi che rendono di difficile “copiatura” per altre realtà: secondo le analisi fatte dalla Commissione Europea, ad oggi la Spagna esporta solo il 3% di energia in Francia e Portogallo: «cifre talmente piccole che non rischiano di avere un impatto a grandi livelli sui mercati europei. Il fatto che la Penisola iberica risulti quasi scollegata dal resto dell’Ue fa sì che un intervento sul mercato dell’energia iberico non comporti distorsioni nel resto dell’Unione», spiega il “Corriere della Sera”.
Come funziona un "tetto" al prezzo del gas? Chi dovrebbe pagare la differenza fra il tetto fissato dall'acquirente e il prezzo di mercato? Il fornitore, il produttore, il consumatore?
Mentre Draghi discuteva questo provvedimento in treno col cancelliere tedesco Scholz, la Presidente della Banca Centrale Europea ha annunciato di essere al lavoro su un nuovo scudo anti-spread: ha incaricato gli uffici tecnici di velocizzare "il completamento di un nuovo strumento anti-frammentazione" da sottoporre poi al Consiglio direttivo.
Secondo gli analisti, l’unico strumento che la Bce ha finora a disposizione è la possibilità di canalizzare i reinvestimenti dalle obbligazioni in scadenza acquistate durante la fase pandemica verso i mercati in difficoltà .
È opinione diffusa che uno “scudo” sarebbe opportuno per evitare che l’inversione di tendenza della politica monetaria colpisca in modo eccessivo i Paesi più indebitati.
L’esagerazione dello spread può derivare da speculazioni che non trovano giustificazione sufficiente nell’indebitamento del Paese, per quanto particolarmente elevato. È stato così nella crisi del 2012, quando si arrivò a mettere in dubbio la sopravvivenza dell’euro con l’uscita dei Paesi più in difficoltà, fra cui l’Italia. Fu allora che Mario Draghi, che presiedeva la BCE, pronunciò il suo famoso whatever it takes col quale, in sostanza, impegnava la banca a intervenire sul mercato dei titoli di singoli Paesi per calmierare gli spread.
Il che sarebbe avvenuto, se necessario, con le “Outright Monetary Transactions” (OMT), acquisti condizionati da speciali impegni che il Paese beneficiario dello scudo avrebbe dovuto prendere in accordo col Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) che ne avrebbe sorvegliata l’applicazione. Non fu però necessario intervenire effettivamente perché bastò la credibilità dell’annuncio per frenare la speculazione e ricondurre gli spread a misure non esasperate e compatibili con le differenze nei fondamentali dei Paesi e col loro grado di indebitamento. L’effetto stabilizzante dell’annuncio cominciò subito, prima che fosse comunicato lo strumento (le OMT) col quale sarebbero stati realizzati.
Anche questa volta la BCE ha annunciato e promesso interventi ma con una credibilità che non sembra riuscire a compensare la debolezza dell’annuncio. La presidente Christine Lagarde non ha menzionato le OMT e ha detto solo che lo scudo allo studio è diretto a “combattere i rischi di frammentazione dell’eurozona” per “preservare il funzionamento del meccanismo di trasmissione della politica monetaria”.
Nella situazione attuale la BCE ha deciso di intervenire subito con un intervento del tipo appena descritto, ma dove la flessibilità degli interventi è applicata ai reinvestimenti dei titoli in scadenza del suo portafoglio. Si tratta però di un ammontare limitato e non si sa nulla del meccanismo più duraturo e innovativo che è allo studio. In ogni caso non sarà facile giustificare la misura della riduzione degli spread cui gli interventi mireranno, né assicurare adeguata trasparenza all’asimmetria dei rinnovi. Anche l’assenza di condizioni di politica economica, per godere di temporanee preferenze nei rinnovi, può suscitare dubbi e critiche.
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